Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/3338

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[p. 326 modifica] la nazionale. E questo esempio dell’Europa si deve proporzionatamente applicare e paragonare al caso dell’odierna Italia, e dedurne delle congetture, certo assai verisimili e solide, circa il futuro esito delle nostre presenti circostanze (1-2 settembre 1823).


*    Del resto, dalle considerazioni qui dietro fatte sulla necessità che l’Europa e lo spirito umano avevano di nuove lingue illustri a potersi avanzare e né costumi e nelle scienze e nelle lettere e nella filosofia, dopo il risorgimento degli studi; e sul grandissimo detrimento e ritardo che portò alla rinata civiltà la rinnovazione dell’uso esclusivo del latino come lingua illustre; e sul maggior danno e indugio che le avrebbe apportato la continuazione di tale uso, apparisce piú visibilmente che mai quanto debbano a Dante, non pur la lingua italiana, come si suol predicare, ma la nazione istessa e l’Europa tutta e lo spirito umano. Perocché Dante fu il primo assolutamente in Europa che (contro l’uso e il sentimento di tutti i suoi contemporanei e di molti posteri, che di ciò lo biasimarono; vedi Perticari, Apologia, cap. 34) ardí concepire