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[p. 359 modifica] avevano di me. Anzi uno di coloro, volendo lodarmi, un giorno mi disse: A voi non disconverrebbe di vivere qualche tempo in una buona città, perché quasi quasi possiamo dire che siate un letterato. Ma s’io mostrava che le mie cognizioni fossero un poco minori ch’essi non credevano, la loro stima scemava ancora e non [p. 360 modifica]poco, e finalmente io passava per uno del loro grado. È vero però che talvolta può succedere il contrario, e per un’opinione simile, in tempi o luoghi ignoranti, un uomo o un pregio piccolo conseguire una somma stima.


*   Alla p. 252, capoverso 1. Vedi in questo proposito la p. 114, pensiero ultimo, e considera la gran contrarietà di Catone ai progressi dello studio presso i Romani; i quali sono un vivissimo esempio di quello ch’io dico, cioè dell’esser gli studi, tanto ameni quanto seri e filosofici, favorevolissimi alla tirannia. Vedi anche Montesquieu Grandeur ec., ch. 10, principio. Certo la profonda filosofia di Seneca, di Lucano, di Trasea Peto, di Erennio Senecione, di Elvidio Prisco, di Aruleno Rustico, di Tacito ec. non impedí la tirannía, anzi laddove i Romani erano stati liberi senza filosofi, quando n’ebbero in buon numero e cosí profondi come questi e come non ne avevano avuti mai, furono schiavi. E come giovano tali studi alla tirannia, sebbene paiano suoi nemici, cosí scambievolmente la