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*   Dal 2° pensiero della p.116 inferite come anche, secondo questa sola considerazione, il cristianesimo debba aver reso l’uomo inattivo e ridottolo invece ad esser contemplativo, e per conseguenza com’egli sia favorevole al dispotismo, non per principio (perché il cristianesimo né loda la tirannia né vieta di combatterla o di fuggirla o d’impedirla), ma per conseguenza materiale; perché se l’uomo considera questa terra come un esilio e non ha cura se non di [p. 345 modifica]una patria situata nell’altro mondo, che gl’importa della tirannia? Ed i popoli abituati, massime il volgo, alla speranza di beni d’un’altra vita, divengono inetti per questa, o se non altro, incapaci di quei grandi stimoli che producono le grandi azioni. Laonde si può dire generalmente, anche astraendo dal dispotismo, che il cristianesimo ha contribuito non poco a distruggere il bello, il grande, il vivo, il vario di questo mondo, riducendo gli uomini dall’operare al pensare e al pregare, o vero all’operar solamente cose dirette alla propria santificazione ec.; sopra la quale specie di uomini è impossibile che non sorga immediatamente un padrone. Non è veramente che la religion cristiana condanni o non lodi l’attività. Esempio un San Carlo Borromeo, un San Vincenzo de Paolis. Ma in primo luogo l’attività di questi santi, se bene li portava ad azioni eroiche (e per questa parte grandi) ed utili, non dava gran vita al mondo, perché la grandezza delle loro azioni era piuttosto relativa ad essi stessi che assoluta, e piuttosto intima e metafisica che materiale. In secondo luogo, parendo che il cristianesimo faccia consistere la perfezione piuttosto nell’oscurità, nel silenzio e in somma nella totale dimenticanza di quanto appartiene a questo esilio, egli ha prodotto e dovuto produrre cento Pacomi e Macari per un San Carlo Borromeo; ed è certo che lo spirito del cristianesimo in genere portando gli uomini, come ho detto, alla noncuranza di questa terra, se essi sono conseguenti debbono tendere necessariamente ad essere inattivi in tutto ciò che spetta a questa vita, e cosí il mondo divenir monotono e morto. Paragonate ora queste conseguenze a quelle della religione antica, secondo cui questa era la patria e l’altro mondo l’esilio (29 settembre 1820).


*   Il costume e la massima di macerare la carne e indebolire il corpo per ridurlo, come dice san Paolo, [p. 346 modifica]in servitú, dovea necessariamente illanguidire le passioni e l’entusiasmo e render soggetti anche gli animi di chi cercava di soggiogare il corpo, e cosí per una parte contribuire infinitamente a spegner la vita del mondo, per l’altra ad appianar la strada al dispotismo; perché non ci son forse uomini cosí atti ad esser tiranneggiati