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346 | pensieri | (254-255-256) |
in servitú, dovea necessariamente illanguidire le passioni e l’entusiasmo e render soggetti anche gli animi di chi cercava di soggiogare il corpo, e cosí per una parte contribuire infinitamente a spegner la vita del mondo, per l’altra ad appianar la strada al dispotismo; perché non ci son forse uomini cosí atti ad esser tiranneggiati (255) come i deboli di corpo, da qualunque cagione provenga questa debolezza, o da lascivia e mollezza, come presso i persiani che dopo il tempo di Ciro divennero l’esempio dell’avvilimento e della servitú, o da macerazione ec. Nel corpo debole non alberga coraggio, non fervore, non altezza di sentimenti, non forza d’illusioni ec. (30 settembre 1820). Nel corpo servo anche l’anima è serva.
* L’allegria bene spesso è madre di benignità e d’indulgenza, al contrario delle cure e dei mali umori. Questa è cosa nota e osservata, sicché non mi fermerò a cercarne la ragione, ch’é facile a trovare. Ma solamente considererò l’armonia della natura, la quale, mirando sempre alla felicità degli esseri, e per conseguenza l’allegria nel sistema naturale dovendo essere la condizione piú frequente della vita, ha voluto che fosse compagna della piacevolezza verso i suoi simili, virtú somma nella società, e per conseguenza che l’allegria fosse utile non solo all’individuo ma anche agli altri, e servisse alla società e rendesse l’uomo verso altrui tale quale dev’essere.
* L’uomo superiore oggidí colla cognizione e sperienza del mondo si può dire, benché sembri un paradosso, che si avvezzi a pregiare piuttosto che a dispregiare. Dico riguardo alle cose reali. Perché, (256) mentre egli è inesperto del mondo, i piccoli pregi, i principii di virtú, le piccole bellezze o bontà o grandezze in qualsivoglia genere di cose, gli paiono dispregevoli, paragonando sempre gli altri a se stesso, com’é costume