<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/2321&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20150904145829</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/2321&oldid=-20150904145829
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 2321 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 167modifica]amarunt, amarat ec. Donde venne questa contrazione usualissima? Le contrazioni non nascono già, e molto meno diventano comunissime (piú spesso troverete amarunt che amaverunt ec.), senza una ragione di pronunzia. Anticamente si [p. 168modifica]disse amaerunt, amaerat trisillabe, senza però che l’ae si pronunziasse e, ma sciolto. Poi coll’aspirazione eufonica, per fuggire l’iato, si disse ama Ƒerunt ec. Indi amaverunt. Ma il volgo continuò a considerarli come trissillabi; e perciò, saltando facilmente una lettera e conservando la parola trisillaba, disse amarunt, amarat ec. E non fece caso dell’aspirazione (ossia del v) non piú di quello che in nil per nihil ec. vedi disopra. Che il volgo solesse pronunziare cosí contratto piuttosto che sciolto lo dimostra il nostro amarono, amaron, aimerent (e quanto ad amarat vedi la p. 2221, fine segg.). Quest’uso, essendo comune a tutte tre le lingue figlie, dimostra un’origine comune, cioè il volgare latino. E viceversa le dette considerazioni provano che detto uso moderno è di antichissima origine e proprio (forse esclusivamente dell’altro) del volgare latino, com’era pur