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[p. 104 modifica] bestemmiano l’arte e predicano la natura, non s’accorgono che la minor arte è minor natura.


*   Non solamente bisogna che il poeta imiti e dipinga a perfezione la natura, ma anche che la imiti e dipinga con naturalezza; anzi non imita la natura chi non la imita con naturalezza. Però Ovidio che senza naturalezza la dipinge, cioè va tanto dietro a quegli oggetti che finalmente ce li presenta e ce li fa anche vedere e toccare e sentire, ma dopo infinito stento suo (cosí che a lui bisogna una pagina per farci veder quello che Dante ci fa vedere in una terzina) e con una piú tosto pertinacia ch’efficacia; presto sazia, e inoltre non è molto piacevole, perché non sa nasconder l’arte, e con quel tanto aggirarsi intorno [p. 105 modifica]agli oggetti (non solo per una pericolosa intemperanza e incontentabilità, ma anche perché egli senza molti tratti non ci sa subito disegnar la figura, e se non fosse lungo non sarebbe evidente) fa manifesta la diligenza, e la diligenza nei poeti è contraria alla naturalezza. Quello che nei poeti dee parer di vedere, oltre gli oggetti imitati, è una bella negligenza, e questa è quella che vediamo negli antichi, maestri di questa necessarissima e sostanziale arte, questa è quella che vediamo nell’Ariosto, Petrarca ec., questa è quella che pur troppo manca anche ai migliori e classici tra i moderni, questa è quella che col sentimentale e col sistema del Breme e nelle poesie moderne de’ francesi non si ottiene; ché questo stesso sentimentale scopre una certa diligenza ec., scopre insomma il poeta che parla, ec. In Ovidio si vede in somma che vuol dipingere e far quello che colle parole è cosí difficile, mostrar la figura ec. e si vede che ci si mette; in Dante no; pare che voglia raccontare e far quello che colle parole è facile ed è l’uso ordinario delle parole, e dipinge squisitamente, e tuttavia non si vede che ci si metta, non indica questa circostanziola e quell’altra, e alzava la mano e la stringeva e si voltava un tantino e che so io (come fanno i romantici descrittori, e in genere questi poeti descrittivi francesi o inglesi, cosí anche prose ec., tanto in voga ultimamente); insomma in lui c’è la negligenza, in Ovidio no.

*   Sí come dopo la procella oscura
  Canticchiando gli augelli escon del loco
  Dove cacciogli il vento (nembo) e la paura;

E il villanel che presso al patrio foco
  Sta sospirando il sol si riconforta (si rasserena)
  Sentendo il dolce canto e il dolce gioco;


*    Grandissima parte dell’opere utili procurano il piacere mediatamente, cioè mostrando come ce lo possiamo [p. 106 modifica]siamo procurare; la poesia immediatamente, cioè somministrandocelo.


*    Cercava Longino nel fine del trattato del Sublime, perché al suo tempo ci fosse tanta scarsezza di anime grandi, e portava per ragione, parte la fine delle repubbliche e della libertà, parte l’avarizia, la lussuria e l’ignavia. Ora queste non sono madri, ma sorelle di quell’effetto di cui parliamo. E questo e quelle derivano dai progressi della ragione e della civiltà e dalla mancanza o indebolimento delle illusioni, senza le quali non ci sarà quasi mai grandezza di pensieri, né forza e impeto e ardore d’animo, né grandi azioni che per lo piú sono pazzie. Quando ognuno è bene illuminato, in vece dei diletti e dei beni vani, come sono la gloria, l’amor della patria, la libertà, ec. ec. cerca i solidi, cioè i piaceri carnali osceni