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[p. 283 modifica] e la facoltà di penetrare nei piú intimi recessi del vero, dell’astratto ec., quantunque non sia loro ignota a cagione della loro sottigliezza, prontezza e penetrazione, che rende loro piú facile il concepimento e la scoperta del vero, laddove agli altri bisogna piú fatica e perciò spesso sbagliano con tutta la profondità, contuttociò non è il loro forte, e per lo contrario forma tutta l’occupazione e quindi l’infelicità dei settentrionali colti (osservate perciò la frequenza de’ suicidi in Inghilterra), i quali non hanno cosa che li distragga dalla considerazione del vero. E quantunque paia che l’immaginazione anche appresso loro sia caldissima, originalissima ec., tuttavia quella è piuttosto filosofia e profondità che immaginazione, e la loro poesia piuttosto metafisica che poesia, venendo piú dal pensiero che dalle illusioni. E il loro sentimentale è piuttosto disperazione che consolazione. E la poesia antica perciò appunto non è stata mai fatta per loro; perciò appunto hanno gusti tutti differenti, e si compiacciono degli enti allegorici, delle astrazioni ec. (vedi p. 154); perciò appunto sarà sempre vero che la nostra è propriamente la patria della poesia, e la loro quella del pensiero (vedi p. 143-144)


*   Dopo che la natura ha posto nell’uomo una inclinazione illimitata al piacere, è rimasta libera di fare che questa o quella cosa fosse considerata come piacere. Perciò le cagioni per cui una cosa è piacevole sono indipendenti dalla sovresposta teoria, dipendendo dall’arbitrio della natura il determinare in qual cosa dovessero consistere i piaceri, e conseguentemente quali particolari dovessero esser l’oggetto della sopraddetta inclinazione dell’uomo. Esclusi quei piaceri che ho annoverati poco sopra (p. 172, segg.), i quali sono piaceri, non perch’é piaciuto alla natura di volerli tali indipendentemente dalla inclinazione [p. 284 modifica]dell’uomo al piacere, ma solamente o principalmente per questo, che l’uomo desidera