Pagina 143

../142 ../144 IncludiIntestazione 16 settembre 2009 100% Saggi

142 144

[p. 249 modifica]


*    Che vuol dire che, fra tanti imitatori che si sono trovati di opere e di scrittori classici, nessuno è pervenuto ad occupare un grado di fama, non dico uguale, ma neppur vicino a quello dell’imitato? Non è già verisimile che, essendo piú facile l’inventis addere e il perfezionare una cosa inventata che l’inventarla già perfetta, ed essendoci stati molti imitatori di sommo ingegno, massimamente in Italia, in un tempo dove l’imitare era cosa di moda e perciò diveniva occupazione anche dei migliori (come Sannazaro imitator di Virgilio, il Tasso del Petrarca ec.), non si sia mai data nessun’imitazione che almeno agguagli l’opera imitata, e per conseguenza meritasse un posto compagno a quello dell’originale. Ma il fatto sta che, in materia di letteratura o di arti, basta accorgersi dell’imitazione, per metter quell’opera infinitamente al di sotto del modello, e che in questo caso, come in molti altri, la fama non ha tanto riguardo al merito assoluto ed intrinseco dell’opera, quanto alla circostanza dello scrittore o dell’artefice. Laonde, o imitatori qualunque vi siate, disperate affatto di arrivare all’immortalità, quando bene le vostre copie valessero effettivamente molto piú dell’originale.


*   Nella carriera poetica il mio spirito ha percorso lo stesso stadio che lo spirito umano in generale. Da principio il mio forte era la fantasia, e i miei versi erano pieni d’immagini, e delle mie letture poetiche [p. 250 modifica]io cercava sempre di profittare riguardo alla immaginazione. Io era bensí sensibilissimo anche agli affetti, ma esprimerli in poesia non sapeva. Non aveva ancora meditato intorno alle cose, e della filosofia non avea che un barlume, e questo in grande, e con quella solita illusione che noi ci facciamo, cioè che nel mondo e nella vita ci debba esser sempre un’eccezione a favor nostro. Sono stato sempre sventurato, ma le mie sventure d’allora erano piene di vita e mi disperavano, perché mi pareva (non veramente alla ragione, ma ad una saldissima immaginazione) che m’impedissero la felicità, della quale gli altri credea che godessero. Insomma il mio stato era allora in tutto e per tutto come quello degli antichi.