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[p. 278 modifica] gl’impedisce di vedere i confini di ciascheduna, toglie l’esaurimento subitaneo del piacere, la fa errare d’un piacere in un altro, senza poterne approfondare nessuno, e quindi si rassomiglia in certo modo a un piacere infinito. Parimente, la vastità, quando anche non sia moltiplice, occupa nell’anima un piú grande spazio, ed è piú difficilmente esauribile. La maraviglia similmente rende l’anima attonita, l’occupa tutta e la rende incapace in quel momento di desiderare. Oltre che la novità, inerente alla maraviglia, è sempre grata all’anima, la cui maggior pena è la stanchezza dei piaceri particolari.


*   Da questa teoria del piacere deducete che la grandezza anche delle cose non piacevoli per se stesse diviene un piacere, per questo solo ch’é grandezza. E non attribuite questa cosa alla grandezza immaginaria della nostra natura. Posta la detta teoria, si viene a conoscere (quello ch’é veramente) che il desiderio del piacere diviene una pena, e una specie di travaglio abituale dell’anima. Quindi:-1°, un assopimento dell’anima è piacevole. I turchi se lo proccurano coll’oppio; ed è grato all’anima, perché in quei momenti non è affannata dal desiderio, perché è come un riposo dal desiderio tormentoso e impossibile a soddisfar pienamente, un intervallo come il sonno, nel quale se ben l’anima forse [p. 279 modifica]non lascia di pensare, tuttavia non se n’avvede. -2°, La vita continuamente occupata è la piú felice, quando anche non sieno occupazioni e sensazioni vive e varie. L’animo occupato è distratto da quel desiderio innato che non lo lascerebbe in pace o lo rivolge a quei piccoli fini della giornata (il terminare un lavoro, il provvedere ai suoi bisogni ordinari, ec. ec. ec.); giacché li considera allora come piaceri, essendo piacere tutto quello che l’anima desidera, e conseguitone uno, passa a un altro; cosí che è distratto da desideri maggiori, e non ha campo di affliggersi della vanità e del vuoto delle cose, e la speranza di quei