[p. 284 modifica] illimitatamente il piacere. Del resto la virtú, i piaceri corporali, quelli della curiosità (vedi se vuoi Montesquieu nel luogo citato p. 170, qui sopra), giacché, come ho detto, per piacere intendo e vanno intese tutte le cose che l’uomo desidera ec. ec., sono piaceri, perché la natura ha voluto, e potevano non essere con tutta la inclinazione dell’uomo al piacere; come l’idea assoluta che l’uomo ha della convenienza non è ragione perché queste o quelle cose gli paiano convenienti e belle. E dei piaceri altri sono comuni, altri particolari di questa o quella nazione, altri di questa o quella classe d’uomini, come i piaceri appartenenti all’avarizia, all’ambizione ec., altri anche individuali, secondo le assuefazioni, le opinioni, le costituzioni corporali, i climi ec.; come l’idea rispettiva della bellezza dipende dalle assuefazioni costumi opinioni ec (vedi Montesquieu, l. c., De la sensibilité, p. 392). E la natura ha posto nell’uomo diverse qualità, delle quali altre si sviluppano necessariamente, altre o si sviluppano o restano chiuse e inattive secondo le circostanze. E di queste seconde, altre la natura voleva o non proibiva che si sviluppassero, altre non voleva e, sviluppandosi, rendono l’uomo infelice. E la cagione per cui le ha poste nell’uomo, non volendo che sviluppassero, starà nel sistema profondo della natura, e probabilmente si potrebbe scoprire, se non ci fermassimo adesso sul generale. Secondo queste diverse qualità, l’uomo trova piacevoli diverse cose, e l’uomo incivilito prova diversi piaceri dal primitivo e sentirà dei piaceri che il primitivo non provava e non proverà molti di quelli che il primitivo provava. E perciò dall’esserci ora piacevole una cosa, il cui piacere dipenda dal nostro eccessivo incivilimento, non deduciamo che questo era voluto dalla natura. E se ora,