Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/144
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | 143 | 145 | ► |
Ben è vero che anche allora, quando le sventure mi stringevano e mi travagliavano assai, io diveniva capace anche di certi affetti in poesia, come nell’ultimo canto della Cantica. La mutazione totale in me, e il passaggio dallo stato antico al moderno, seguí si può dire dentro un anno, cioè nel 1819, dove, privato dell’uso della vista e della continua distrazione della lettura, cominciai a sentire la mia infelicità in un modo assai piú tenebroso, cominciai ad abbandonar la speranza, a riflettere profondamente sopra le cose (in questi pensieri ho scritto in un anno il doppio quasi di quello che avea scritto in un anno e mezzo, e sopra materie appartenenti sopra tutto alla nostra natura, a differenza dei pensieri passati, quasi tutti di letteratura), a divenir filosofo di professione (di poeta ch’io era), a sentire l’infelicità certa del mondo in luogo di conoscerla; e questo anche per uno stato di languore corporale, che tanto piú mi allontanava dagli antichi e mi avvicinava ai moderni. Allora l’immaginazione in me fu sommamente infiacchita, e quantunque la facoltà dell’invenzione allora appunto crescesse in me grandemente, anzi quasi cominciasse, verteva però principalmente o sopra affari di prosa o sopra poesie sentimentali. E s’io mi metteva a far versi, le immagini mi venivano a sommo stento, anzi la fantasia era quasi disseccata (anche astraendo dalla poesia, cioè nella contemplazione delle belle scene naturali ec., come ora ch’io ci resto duro come una pietra); bensí quei versi traboccavano di sentimento. (1° luglio 1820). Cosí si può ben dire che in rigor di termini, poeti non erano se non gli antichi, e non sono ora se non i fanciulli o giovanetti, e i moderni che hanno questo nome non sono altro che filosofi. Ed io infatti non divenni sentimentale, se non quando, perduta la fantasia, divenni insensibile alla natura e tutto dedito alla ragione e al vero, insomma filosofo.
* È cosa già molte volte osservata che, come le accademie scientifiche forse hanno giovato alle scienze, promosse e facilitate le