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34 | Introduzione |
tessa e suonatrice, che non solo compone ne la lingua volgare, ma su le sue rime fa «i canti» e col suono li accompagna «con isnodata e velocissima mano» (III-17). Nè altrimenti usa Antonio Bologna, che un bel dì «sonò di liuto e cantò un pietoso capitolo, che egli dei casi narrati (I-26) aveva composto ed intonato». A sua volta il Porcellio, Giovanni dei Pandoni, poeta vissuto a Milano ai tempi di Francesco Sforza, pone la sua «eccellenza nelle lettere e il pregio de le Muse» (I-6) a servizio di un’altra arte sorella della poesia, della pittura, istoriando con epigrammi le pitture che adornavano le sale del palazzo del conte Gasparo Vimercato.
A parte poi uomini di varia dottrina, come Bartolomeo Dardano «nel verso latino, di gran vena» (II-3), come Pietro Usperto «non solamente iureconsulto consumato» ma che ha «a le umane leggi aggiunte le buone lettere» (IV-28), quanti il Bandello introduce a leggere loro versi! Ecco Giambattista Schiaffenato, che «sempre ha alcuna bella rima amorosa o epigramma o elegia de le sue dotte composizioni da recitare» (I-55); Francesco Berni, che mette di buon umore i convenuti a Verona, in un giardino, col suo «piacevole e facetissimo capitolo del prete di Povigliano... e con alcuni sonetti i più festevoli del mondo» (III-55); Marco Antonio Casanova in Milano «molto accarezzato da tutti quei che de le buone lettere si dilettavano, per l’arguzia e soavità de li suoi epigrammi» (IV-14).
Ogni volta che può il Bandello conduce il discorso su argomenti di poesia. Ne ragiona, consumando seco lui la notte intera «a Castel Giffredo... di versi e di cose de la lingua volgare» con Luigi Gonzaga, detto Rodomonte (I-39); ne discute «a tavola» con Ber-