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miando anzi la sua vita che la tua propria, quanta fu quella, ecc,». Invece la lezione manoscritta, critica s’intende, sostituisce serpe a sempre, che va considerato come vero e proprio errore di lettura favorito dall’oscuritá del passo; che fa diretta allusione ad un episodio aneddotico che il Boccaccio derivava da Valerio Massimo. Ecco il passo secondo la nota versione trecentesca: «Tiberio Gracco, essendo prese due serpi nella sua casa, l’uno maschio e l’altra femina, fu certificato dallo aguratore che, il maschio lasciato, alla sua moglie significava tosta morte, e la femina, a lui che ’l morir s’affrettava. Onde elli piú tosto seguitando quella parte dell’agurio, nella quale era la salute della sua moglie, che quella parte dov’era la sua, comandò lo maschio uccidere e la femina lasciare»1.

Pag. 21: «... mostrandone manifesti segni della nostra fuga, la quale infino agli ultimi termini della nostra potenza mostra che si debba con crudele uccisione difendere.», laddove il verbo finale non da senso, che invece si chiarisce con la giusta lezione distendere.

  1. Cito dall’ediz. di R. De Visiani, Valerio Massimo, De’ fatti e detti degni di memoria della cittá di Roma e delle strane genti, Bologna, 1867, vol. I, p. 303 (libro IV, cap. VI: Dell’amore del matrimonio). Del resto Valerio Massimo offre al Boccaccio, specie per il Filocolo, molti aneddoti ed «exempla», come l’enciclopedia narrativa piú autorevole della vita pubblica e morale dell’antichitá. Fra le varie derivazioni, ne ricordo qualche altra, che senza l’aiuto della fonte rimarrebbe oscura. Si veda a p. 22 del Filocolo: (... che non fece Paulo alla voce di Tarsia quando disse: ‛Persa è morto!’, con una troppo sintetica allusione a un passo di Valerio Massimo: «Che è quello, e come fu memorevole cosa, quello che avvenne di Lucio Paulo console? çhe per sorte cadutogli in parte di guerreggiare col re Persa, tornando della corte a casa, una sua piccola figliola che avea nome Tarsia, la quale era molto piccioletta, basciandola la vide stare trista. Domandolla che ira turbava il suo volto. Quella rispose: ‛Persa è morto’. E certo egli era morto un suo bracchetto, che la fanciulla dilicatamente tenuto avea, il cui nome era Persa» (ibidem, p. 61). La stessa fonte è per l’accenno a Lucio Silla (Filocolo, p. 22; Valerio Massimo, p. 67); cosí per le allusioni a Senofonte e Anassagora (Filocolo, p. 68; Valerio Massimo, pp. 401 -402); per i prodigi di Tanaquilla (Filocolo, p. 145; Valerio Massimo, pp. 65-66: e questo stesso ricordo prodigioso è ripetuto, e questa volta senza opportunità, a p. 336 del Filocolo); il richiamo ad Orazio Pulvillo (Filocolo, p. 54) s’intende meglio con il passo di Valerio Massimo: «Con ciò sia cosa che Orazio Pulvillo pontefice edificasse nel Campidoglio una magione a Giove ottimo massimo, e nel raccontamento delle solenni parole tenendo una parte dell’uscio, udisse dire il suo figliuolo era morto, né la mano da l’uscio rimosse, acciò ch’elli non interrompesse il sacramento di sì grande tempio, né il suo volto dalla pubblica