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camera dei deputati — sessione del 1861


l’aspettata fra le nazioni si levi, e dica: — Io sono l’Italia!» (Applausi prolungati)

presidente. Darò lettura dell’articolo unico del disegno di legge, come è proposto dal Ministero e dalla Giunta:

«Il Re Vittorio Emanuele II assume per sè e suoi successori il titolo di Re d’Italia. »

La discussione generale è aperta.

Il deputato Brofferio ha facoltà di parlare.

brofferio. (Vivi segni d’attenzione) Salute all’Italia risorta libera ed una! Onore al popolo che ritemprandosi nell’esempio degli antichi padri seppe ritornare sovrano! Gloria al Re che col valore in guerra, colla fede in pace, sostenne, difese, ordinò, ed a novella vita compose ventidue milioni di Italiani!

Dopo la caduta libertà di Roma non mai rifulse all’Italia un giorno come questo; esultiamone tutti; tutti con animo concorde, senza studio di parte, senza rivalità di opinioni dichiariamo altamente che tutti gli Italiani non retrivi e non servi, chi coll’opera, chi col consiglio, chi colla penna, chi colla spada, chi col sapiente indugiare, chi coll’ardito prorompere, tutti a questo maraviglioso risorgimento contribuirono, tutti! (Applausi) Ma nella gioia del presente dimenticherem noi la gratitudine delle antiche memorie? Per ricuperare questo raggio di cielo, che si chiama italiana indipendenza, ci vollero otto secoli di fatiche, di dolori, di lagrime, di sacrifizi, di battaglie, di carceri, di esigli, di condanne capitali. Per ottocento anni ci volle tutto il senno dei nostri pubblicisti, tutta l’ispirazione dei nostri poeti, tutta la facondia dei nostri oratori, tutto il valore dei nostri guerrieri, tutto il sangue dei nostri martiri. Ci vollero Galileo Galilei, Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Nicolò Macchiavelli, Michel Angelo Buonarotti, Cesare Beccaria, Mario Pagano, e Filangeri, e Parini, e Carlo Botta, e Filicaia, e Leopardi, e Ugo Foscolo, e Alfieri. Ci vollero Cola di Rienzo, Arnaldo da Brescia, Giovanni da Procida, Francesco Ferruccio, e Savonarola, e Olgiati, e Caracciolo, e Santa Rosa, e Silvio Pellico, e Ciro Menotti, e Tito Speri, e i due Bandiera, e Vochieri, e Pisacane, e Rosolino Pilo, e, più fortunato e più grande di tutti, Giuseppe Garibaldi. (Vivi applausi)

Commosso come io sono, come voi siete, in qual modo potrò io chiamare a freddo esame la legge che ci è presentata? Pure io deggio farlo; trascorrerò di volo.

Vuolsi oggi dar base alla ormai compiuta opera dell’unità nazionale.

Rallegriamoci, o signori, che il regno d’Italia sia stato serbato non ad un re per potenza invidiato, per accorgimenti temuto, non ad un re vendicatore, ma ad un re galantuomo. Così la più bella delle corone sarà premio della più bella delle virtù. (Vivi applausi)

Per tal modo si fa degna risposta a quei rimpiangitori del passato, che nelle assemblee di Spagna, di Francia, d’Inghilterra, sorgono iracondi contro di noi. I Normanby, i Larochejaquelein, i Collantes, i Dupanloup, i Donnet, e tutti quei vescovi, arcivescovi e cardinali (Ilarità), che in nome del vangelo, che è codice di libertà, sorgono avvocati del servaggio contro l’italica indipendenza, ci veggano, nella tranquillità del nostro diritto, sorridere al furore dei loro assalti. Colla creazione di un vasto e libero regno risponde alle straniere imprecazioni il Parlamento italiano. (Vivi segni di approvazione)

Duolmi tuttavolta che questo grande atto che doveva compiersi dal popolo italiano abbia avuto improvvido iniziamento dal Ministero.

Ben so che al re, come capo della nazione, si addice colle

due Camere l’iniziamento politico e legislativo per mezzo de’ suoi ministri; ma, quando è in causa la persona stessa del re, l’iniziamento s’addice al popolo.

Il presidente del Consiglio ebbe altrove a rispondere che egli in sostanza altro non fece che raccogliere dal popolo i voti da lui pronunciati, e portarli in qualche modo nelle tavole legislative.

Questa risposta non mi persuade. Il primo a proclamare Vittorio Emanuele Re d’Italia, se ne dia merito a cui tocca, il primo a proclamare Vittorio Emanuele Re d’Italia fu, in mezzo allo strepito della vittoria e sui frantumi del borbonico trono, il grande dittatore delle Due Sicilie. (Applausi)

Questa proclamazione di battaglia in battaglia, di trionfo in trionfo portava Garibaldi da Palermo a Milazzo, da Milazzo a Napoli, da Napoli a Caserta; e se avverse influenze lo avessero acconsentito non si sarebbe arrestato che in Campidoglio. (Oh! oh!)

Se una sanzione legale fosse bastata tal era quella di Garibaldi; gli atti del suo Governo diedero fondamento quanto alle Due Sicilie a tutti gli atti del Governo del Re; ne faccia per tutti testimonianza il solenne plebiscito, che divenne il diritto pubblico della annessione dei due grandi reami dell’Italia.

Pure si desiderò, si volle, e con ragione, la acclamazione del Parlamento e specialmente di questa Assemblea, acciocchè la iniziativa presa dal dittatore in campo, dal popolo in piazza, avesse continuazione e complemento dal popolo in nazionale consesso; e per opera del Ministero, mi duole il dirlo, il popolo fu chiamato non già ad offrire una corona, ma ad approvare un’offerta del Ministero.

Vittorio Emanuele assume il titolo di Re d’Italia, dice la legge: alte considerazioni m’impongono di non porre in evidenza tutto ciò che havvi di men grato in queste parole; dirò soltanto che al Re era serbato un grande mandato accettando dal popolo la corona dell’Italia; che il popolo avea un altro grande mandato da compiere offrendola, e che i due mandati del Re e del popolo ebbero per colpa del Ministero una imperfetta esecuzione.

Ma non più di questo, e procedasi ad altra non men grave considerazione. Un Re ed un regno d’Italia non sono cose nei patrii fasti straordinarie, e se al regno ed al Re d’Italia che oggi si creano non si attribuisce una speciale significazione, noi, o signori, non potremmo ad altro aspirare che al titolo di spolveratori di vecchie pergamene. (Bisbiglio)

Re d’Italia intitolaronsi gli Ostrogoti ed i Visigoti; ve lo attestano in Roma Odoacre e Teodorico; re d’Italia si chiamarono i Goti, lo attesta Vitige in Ravenna; re d’Italia si proclamarono i Longobardi e ne faceva testimonianza la ferrea corona nella cattedrale di Monza, che con mano ladra ci rapirono gli Austriaci (Movimenti di approvazione); re d’Italia si chiamava l’imperatore Napoleone I, che facevasi rappresentare da Eugenio Beauharnais nella capitale lombarda; regno anche quello di straniera dominazione. Non sapremo noi dunque far nulla di meglio con un re italiano che ripetere ciò che fecero Goti, Ostrogoti, Visigoti, Franchi e Longobardi? No, o signori, noi non saremo continuatori nè di barbare memorie, nè di feudali tradizioni. Il nostro regno avrà questo di nuovo, che si stenderà non già sopra una parziale aggregazione di provincie, ma abbraccierà tutto il suolo d’Italia dal Monviso all’Etna, dall’Alpi all’Adriatico; il nostro Re avrà questo di grande, che, invece di emanare dalla forza, sarà l’espressione del diritto che emana dalla sovranità nazionale. (Bene! Bravo!)

Proponevasi nel Senato del regno un’aggiunta alla legge