Giuseppe Gioachino Belli

1830 Indice:Sonetti romaneschi I.djvu corone di sonetti letteratura Ar dottor Cafone Intestazione 9 gennaio 2024 100% Da definire

Sonetti del 1830 Er guitto in ner carnovale
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1830

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AR DOTTOR CAFONE.1

1.

     Sor cazzaccio cór botto2, ariverito,
Ve pòzzino3 ammazzà li vormijjoni,4
Perchè annàte scoccianno li c......
A chi ve spassa er zonno e ll’appitito?

     Quanno avévio5 in quer cencio de vestito
Diesci àsole6 a rruzzà cco ttre bbottoni,
Ve strofinàvio7 a ttutti li portoni:
E mmo, bbuttate ggiù ll’arco de Tito!

     Ma er popolo romano nun ze bbolla,
E quanno sémo a ddì8, sor panzanella9,
Se ne fr... de voi co’ la scipolla10.

     E a Rroma, sor gruggnaccio de guainella,11
Ve n’appiccicheranno12 senza colla
Sette sacchi, du’ scòrzi13 e ’na ssciuscèlla14.

14 febbraio 1830.


Note

  1. Napolitano. — Il signor dottore Fabbrizio D’Ambrosio, napolitano esiliato, stampò un libercolettaccio in cui esaminando le donne di Roma, vomitava mille ingiurie contro i Romani. Quest’opera poi, meno le ingiurie di proprio conio, era un perfetto plagio dell’opera di Cabanis sopra i rapporti fra il morale e il fisico dell’uomo. [Deve essere lo stesso opuscolo di cui parla, senz’accorgersi però del plagio, il Tommasèo, a pag. 7 della seconda parte del Dizionario Estetico (Milano, 1860), sotto il titolo: “A......, Perchè in Roma le donne sono più belle, più attive e più perspicaci degli uomini?„]
  2. [Coi fiocchi. Presa forse la metafora dai bòtti (spari), che si fanno nelle solennità.]
  3. [Vi possano.]
  4. [Il vaiolo.]
  5. [Avevate.].
  6. [Dieci occhielli.]
  7. [Vi strofinavate.]
  8. [E quando siamo a dire: e alla fin de’ conti.]
  9. [Propriamente, panzanella ha lo stesso senso che in Toscana. Ma, detto così per ingiuria, deve essere un eufemismo di panzanera. Cfr. la nota 3 del sonetto: Er Culiseo (2), 4 ott. 31.]
  10. [Cioè: “in grado estremo, acuto, come è acuto il condimento di cipolla.„ Si dice anche, più brevemente, sottintendendo le parole disoneste: De voi, co’ la cipolla!].
  11. [Vale a dire: "nero e grinzoso come la carruba.,, In Toscana invece, stando ai vocabolari, compreso il Rigutini-Fanfani, si chiamerebbe volgarmente guainella non la carruba, ma il carrubio. Il Giorgini-Broglio però registra questa voce solo come vezzeggiativo di guaina.]
  12. [Di bastonate s’intende.]
  13. [Lo scòrzo era una misura di capacità.]
  14. Giumella.

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AR DOTTORE MEDÉMO.

2.

     Ma vvoi chi sséte co’ sto fume in testa
Che mettete catana1 ar monno sano?2
Séte er Re de Sterlìcche,3 er gran Zordano,
4L’asso de coppe, er capitan Tempesta!?...

     Chi séte voi che ffate tanta pesta4
Co’ cquer zeppaccio5 de pennaccia in mano?
Chi sséte? er maniscarco, er ciarlatano...
8Se pò ssapello, bbuggiaravve a ffesta?

     Vedènnove specchiavve6 a ll’urinale,
Le ggente bbone, pe’ nun fà bbaruffa,
Ve chiameno er dottore, tal e cquale:7

     12Ma mmo vve lo dich’io, sor cosa-bbuffa,
Chi sséte voi (nun ve l’avete8 a male):
Trescento libbre de carnaccia auffa.9

16 febbraio 1830.


Note

  1. Metter catana: dare eccezione, censurare.
  2. [Al mondo intero.]
  3. [Pare ch’abbia parentela con l’Ostericch, Austria, usato da Dante, Inf., XXXII, 26.]
  4. Peste, per “istrepito.„
  5. [Con quel fuscellaccio.]
  6. [Vedendovi specchiarvi, quando andate a visitar gli ammalati.]
  7. [Senz’altro: come se foste un dottore davvero.]
  8. [Non ve l’abbiate.]
  9. [A ufo.]

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P’ER ZOR DOTTORE AMMROSCIO CAFONE.

3. — A MENICO CIANCA.1

     Le nespole2 ch’hai conte a cchillo sciuccio
(Pe’ ddillo3 a la cafona) de dottore,
Me le sò ppasteggiate,4 Menicuccio,
Sino a cche m’hanno arifiatato5 er core.

     Vadi a rricurre mo da Don Farcuccio6
Pe’ rrippezzà li stracci ar giustacore;7
Ché a Roma antro che un cavolo cappuccio
Pò ppagà ppiù le miffe8 a st’impostore.

     Ma er zor Ammroscio ha ffatto un bèr guadaggno
Trovanno a ffasse9 a ccusì bbon mercato
Carzoni e ccamisciola10 de frustaggno:11

     Ché in ner libbro de stampa che mm’hai dato,
Be’ cce discessi12 all’urtimo: Lo Maggno;13
E, dde parola, té lo sei maggnato.

Roma, 13 ottobre 1831.

Note

  1. [V. la nota 1 del sonetto: Alle mano ecc., 4 agosto 28.]
  2. I colpi.
  3. Dirlo.
  4. Assaporate.
  5. [Rifiatato: sollevato, consolato.]
  6. Equivale a “nessuno.„
  7. Vedi il sonetto 1°.
  8. Menzogne.
  9. Farsi.
  10. [Camiciola: giacchetta. V. però la nota 5 del sonetto: La milordarìa, 27 nov. 32.]
  11. Non offenda il trovare qui in frustagno un vocabolo non pure illustre, ma di forma e nazione veramente toscano. Il romanesco tende di sua natura ad alterare il suono delle parole, allorchè per ispirito di satira, in lui acutissimo, vuole rendere il senso equivoco e farlo ingiurioso. Così nel caso attuale, per dire che il dottore sia stato frustato pel corpo dal libro contro di lui stampato, non disconviene alla malizia romanesca la viziatura di fustagno, termine in uso, in frustagno, per la qual viziatura questo vocabolo viene per puro accidente, indipendentissimo da perizia filologica, ad essere restituito alla sua incognita forma.
  12. [Bene ci] dicesti.
  13. Nel libro di cui si tratta appariscono per ultime parole le seguenti:

    FR. DOM. LO MAGNO,

    firma del revisore ecclesiastico. E il detto libro contiene un dialogo scritto dal signor Benedetto Blasi intorno alle stoltezze dell’opuscolo dell’Ambrosio; e quindi un confronto fatto dal signor Domenico Biagini di quello stesso opuscolo colla celebre opera del Cabanis (Rapport du moral, etc.), della quale il D’Ambrosio ha fatto un continuo plagio, viziandola però per farle dire sciocchezze.