Osservazioni sulla morale cattolica/Capitolo XIII

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Capitolo XII Capitolo XIV
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CAPITOLO DECIMOTERZO


SUI PRECETTI DELLA CHIESA.


Ce ne fut pas tout: l’Église plaça ses commandements à côté de la grande table des vertu et des vices, dont la connoissance a été implantée dans notre coeur. Elle ne les appuya point par une sanction aussi redoutable que ceux de la Divinité, elle ne fit point dépendre le salut éternel de leur observation; et en même temps elle leur donna une puissance que ne purent jamais obtenir les lois de la morale. Le meurtrier, encore tout couvert du sang qu’il vient de verser, fait maigre avec dévotion, tout en méditant un nouvel assassinat ... car plus chaque homme vicieux a été régulier à observer les commandemens de l’Église, plus il se sent dans son coeur dispensé de l’observation de cette morale céleste, à laquelle il faudroit sacrifier ses penchans dépravés... Pag. 419.


Esaminiamo brevemente le due asserzioni preliminari; quindi parleremo delle relazioni di questi precetti ecclesiastici1con le leggi della morale.

1.° La Chiesa pretende di non dare un precetto che non prescriva una azione per sè virtuosa, che non sia un mezzo per purificare, elevare, santificare l’animo, per adempire insomma la legge divina. Se questo si nega, bisogna addurre i precetti o viziosi o indifferenti della Chiesa; se si concede, che cosa si può dire dell’aver essa «messi i suoi precetti a fianco della gran tavola de’ vizi e delle virtù?» Che gli ha messi nell’ordine che conveniva.

Che poi «la cognizione della gran tavola delle virtù e de’ vizi sia inserita ne’ nostri cori,» è una questione incidente in questo luogo e, del rimanente, posta in termini non abbastanza chiari, come è per lo più di quelle che sono espresse per mezzo di metafore. Presa nel senso più ovvio, una tal proposizione parrebbe voler dire che l’uomo abbia dalla natura (qualunque ne sia il mezzo e il modo) una cognizione lucida, intera, inalterabile, di ciò che sia virtù e di ciò che sia vizio. Ammessa la qual cosa, ogni dottrina soprannaturale e rivelata, su questa materia, sarebbe [p. 503 modifica]superflua, e quindi falsa; e sarebbe quindi senza fondamento, come senza motivo ogni precetto religioso: giacchè, avendo ogn’uomo nel cor suo, quella gran tavola, a che pro, e con quale autorità, quelle medesime del Sinai? Ma una tale supposizione è apertamente rinnegata dal fatto, non meno che dalla rivelazione, come se n’è discorso a lungo in un capitolo antecedente. Se poi s’intende semplicemente, che ci sia nell’uomo, dotato com’è d’intelletto e di volontà, una potenza di discernere il bene e il male morale; potenza però non solo limitata di sua natura, ma (d’onde che ciò sia venuto) indebolita e guasta a segno, e di prender troppo spesso il male per bene, il bene per male, e d’attaccarsi al male, e rifuggire dal bene, anche conoscendoli, come il fatto pur troppo dimostra; e se si ammette insieme, che ci sia una religione istituita da Dio, appunto per dirigere e aiutar l’intelletto nel discernimento del bene e del male, e la volontà nella scelta; allora bisognerà dire che uno de’ caratteri essenziali e indispensabili di questa religione dev’essere il promulgare dei comandamenti, e promulgarli con un’autorità soprannaturale, come la sua origine.

2.° E così ha fatto la Chiesa: ha muniti i suoi comandamenti della stessa sanzione che hanno i comandamenti di Dio, perchè è da Dio essa medesima; e facendo altrimenti, diffiderebbe dell’autorità conferitale da Colui che disse Chi non ascolta la Chiesa sia riguardato come un pagano e un pubblicano2. E cosa sarebbero de’ comandamenti senza sanzione? o qual altra sanzione si potrebbe dare a de’ comandamenti che riguardano anche, anzi principalmente, la volontà? La Chiesa dunque fa dipendere, come s’è già detto altrove, la salvezza dall’osservanza de’ suoi comandamenti, la trasgressione de’ quali non può venire che da un core indocile e noncurante di quella vita, che è data a chi l’apprezza, a chi la sospira, a chi la cerca coi mezzi ordinati da Gesù Cristo3. Questa è la sua dottrina perpetua, tanto manifesta e universale, che ogni cattolico può darne testimonianza quando si sia.

Ma l’essenziale da esaminarsi è l’effetto attribuito a questi comandamenti, d’esser quasi un orribile supplemento alle leggi eterne della morale, una scusa per trasgredirle senza rimorso: questo è il punto di vista, e l’unico punto di vista dal quale sono osservati nel testo. Due cose sono qui da considerarsi: il fatto, e la dependenza di esso da’ princìpi costitutivi della Chiesa.

Il fatto è una parte importantissima di statistica morale. Ora ecco quali sono, al parer mio, le massime da aversi di mira, e le ricerche da farsi, per venire alla cognizione di esso.

La religione non comanda che cose sante: credo questo punto fuori di controversia. Quindi la vera e intera fedeltà alla religione è incombinabile con qualunque delitto; quindi l’uomo che vuol esser vizioso, non potendo conciliare le sue azioni con la religione quale è, tende ad abbandonarla o ad alterarla, tende all’irreligione o alla superstizione. Nel primo caso, la sua avversione ai precetti che non vuole osservare lo porta a desiderare che siano mere finzioni umane; e la rabbia d’averli violati cambia qualche volta il desiderio in persuasione.

Ma può anche cadere in un’altra specie d’accecamento. Sa che il delitto lo esclude dalla parte de’ giusti; ma non può lasciar di credere alla promessa, e non ci vorrebbe rinunziare; si sforza di dimenticare che chi [p. 504 modifica]ha violato un precetto ha violata tutta la legge4, e vorrebbe esser fedele in quelle parti che non gl’impongono il sacrifizio della sua più forte passione. Sa ancora che è un atto di dovere l’eseguire certi comandamenti, e eseguendoli si persuade confusamente di non essere affatto fuori dell’ordine, e di tenere ancora un piede nella strada della salvezza: gli pare di non essere affatto abbandonato da Dio, poichè fa alcuni atti che Dio gli comanda. E l’oscuramento della sua mente può qualche volta arrivare al segno (poichè a che non va l’intelletto soggiogato dalle passioni?) che quegli atti, quantunque scompagnati dall’amore della giustizia, gli paiano una specie d’espiazione; e prenda per un sentimento di religione quello che non è altro che un’illusione volontaria dell’empietà.

Ora, per decidere se tra i delinquenti di mestiere in Italia sia più frequente il disprezzo della religione, o questa superstizione, ognuno vede quali ricerche converrebbe aver fatte: visitare le prigioni, vedere se coloro che ci stanno per gravi delitti nutrono sentimenti di rispetto per la Chiesa, o se ne parlano con derisione, chiedere a quelli che, per ufizio, gli esaminano e gli osservano, chiedere ai parrochi (qualora non si volesse averli per sospetti di parzialità) se coloro che si sono abbandonati al mal vivere si distinguevano nell’osservanza de’ precetti ecclesiastici; prendere insomma le più esatte informazioni. Le quali non essendo io in caso di prendere, non posso che esprimere un’opinione, quella che mi son fatta, per la tendenza che abbiamo tutti a formarci un giudizio generale sui fatti d’uno stesso genere, quantunque le notizie che ne abbiamo non siano, nè in quel numero, nè di quella certezza che si richiederebbe a dimostrarne la verità. Sono dunque di parere, che, tra quelli che corrono in Italia la deplorabile carriera del delitto, ci sia, a’ nostri giorni, poca o nessuna superstizione, e molta noncuranza, o ignoranza di tutte le cose della religione. E non basta a farmi rinunziare a questa opinione, che l’illustre autore abbia manifestata l’opposta; perchè, per quanto peso abbia la sua autorità, una decisione sopra un complesso di fatti non si riceve se non con molte prove e con molti ragionamenti. So bene che molti stranieri fanno un’eccezione per l’Italia, adottando senza esame tutto ciò che le si possa attribuire, in fatto di superstizione; ma non sono persuaso della bontà di questo metodo. Non pretendo quindi di proporre agli altri la mia opinione, ma la sottopongo al giudizio di quelli che hanno potuto fare delle osservazioni sufficienti su questo fatto.

Quantunque però qui non si tratti di difender l’Italia, ma la religione, non si può a meno di non protestar di passaggio contro l’interpretazione che potranno dare all’esempio addotto dall’autore quegli stranieri appunto che sono avvezzi a credere anche al di là del male che loro vien detto di questa povera Italia; e i quali, sentendo parlare d’assassini che mangiano di magro, potranno farsi subito l’idea, che l’Italia sia piena d’uomini che vivano così tra il sicario e il certosino. Se mai, per un caso strano, questo libricciolo, capitasse alle mani d’alcuno di loro, vedano se è troppa pretensione il chiedere che si facciano dell’altre ricerche, prima di formarsi una tale idea d’una nazione.

Ma, per venire alla relazione di questi fatti co’ princìpi della Chiesa, l’impressione che, per l’onore della verità e della religione, importa sopra tutto di distruggere, è quella che può nascere contro i precetti della Chiesa e contro il suo spirito, dal veder questi precetti presentati come in contrasto con le leggi della morale; dal veder messi insieme astinenza [p. 505 modifica]e assassinio, e (negli altri, esempi, che ho creduto inutile di trascrivere), culto dell’immagine, libertinaggio, digiuno ecclesiastico e spergiuro, come se queste cose fossero in certo modo cause e effetti; dal veder supposta nel core dell’uomo vizioso quasi una progressione parallela di fedeltà ai precetti ecclesiastici, e di scelleratezza. No, non c’è alcuna connessione tra queste cose; sono idee e nomi repugnanti; non c’è lato per cui si tocchino, c’è tra di esse la distanza che separa il bene dal male. No, la Chiesa non ha mai proposti i suoi precetti in sostituzione delle leggi della morale: non si potevano ideare precetti che fossero più conducenti alla vera, all’intera, all’eterna morale: credersi dispensato da essa, osservando esteriormente alcuni di que’ precetti, non può essere nella mente del cristiano che una demenza irreligiosa; e una demenza di questo genere dev’essere sempre stata rara.

Perchè, altro è che degli uomini perversi, calpestando que’ gravissimi comandamenti, da’ quali dipende la conservazione del viver sociale, abbiano mantenuta una fedeltà esteriore a quelli che sono dati dalla Chiesa per facilitare l’adempimento d’ogni giustizia; altro è che questa fedeltà stessa gli abbia incoraggiti a calpestare i primi. Hanno osservata la parte più facile della legge; hanno commesse quelle sole colpe che non sapevano rifiutare alle loro inclinazioni corrotte; non hanno aggiunto il disprezzo d’alcuni precetti alla violazione degli altri, perchè questo disprezzo non aveva per loro un’attrattiva bastante da farli diventar rei anche in questo: ecco tutta la storia del loro animo. Che se c’è pure «l’uomo vizioso che si senta dispensato dalla morale, quanto più è regolare nell’osservare i comandamenti della Chiesa,» si trovi nelle massime e ne’ precetti della Chiesa il fondamento di questo suo sistema, s’indichi in essi il punto donde s’è mosso per arrivare a un tale delirio; si dica quali istituzioni potrebbero esser atte a ritenere nell’ordine una mente e un core, quali si suppongono a quest’uomo. L’assassino mangia di magro con divozione! Ah! quanto è lontano questo sentimento, che riunisce il sacrifizio e l’amore, dal core dove è risoluta la morte d’un fratello! Egli mangia di magro! Ma quando la Chiesa gli ha detto: sii temperante, rinunzia in certi giorni a certi cibi, per vincere la bassa inclinazione della gola, per mortificare il tuo corpo, gli ha poi soggiunto: e con questo tu potrai uccidere? O perchè c’è chi vuol esser omicida, la Chiesa non comanderà a tutti d’essere astinenti? Non imporrà più delle penitenze, per timore d’ incoraggire al peccato? Cosa importa che due comandamenti siano diversi, quando non si contradicono? È impossibile figurarsi una morale, una regola di vita, in cui non ci siano dell’obbligazioni di vario genere e di diversa importanza: la morale perfetta sarà quella in cui tutte l’obbligazioni vengano da un principio, siano dirette a un solo fine, e questo sia santissimo: e tale appunto è la morale della Chiesa.

È egli poi da credersi che questo fine la Chiesa non l’ottenga mai? Nel testo che osserviamo non è accennata che una delle possibili relazioni dei comandamenti ecclesiastici con la morale; l’osservanza di questi combinata con la persistenza nel delitto. Un complesso di discipline meditate, promulgate, venerate da una società come la Chiesa, non meriterebbe attenzione, se non per l’ubbidienza di qualche omicida, di qualche prostituta, di qualche spergiuro! I cattolici virtuosi non sono dunque osservatori de’ comandamenti? O se lo sono, una tale osservanza non avrà alcun effetto sulla loro condotta? Nè l’astinenza così efficace a liberar l’animo dalle tendenze sensuali; nè il culto dell’immagini, che, per applicarlo alle cose celesti, si prevale della prepotenza stessa de’ sensi, così forte per sè a sviarnelo; nè l’ubbidienza volontaria e dignitosa che, [p. 506 modifica]facendo preferire ciò che è prescritto a ciò che si sceglierebbe, avvezza mirabilmente l’uomo a comandare a sè stesso, non produrrebbero mai gli effetti avuti in mira dal legislatore, e così connaturali a tali cagioni! Non ci sarebbe cattolico che fosse più fedele a quella morale celeste alla quale si devono sacrificare l’inclinazioni corrotte, quanto più è regolare nell’osservare i comandamenti della Chiesa! Ma il mondo stesso attesta che ce ne sono, se non altro col ridersi de’ loro scrupoli; il mondo che li compatisce ugualmente per il timore che hanno di far danno a qualcheduno con un fatto o con una parola, di mancare a un piccolo dovere di carità, come per quello di far uso d’un cibo proibito.

Levate i comandamenti della Chiesa; avrete meno delitti? No, ma avrete meno sentimenti religiosi, meno opere independenti da impulsi e da fini temporali, e dirette all’ordine di perfezionamento per cui l’uomo è creato, a quell’ordine che avrà il suo compimento nell’altra vita, e verso il quale ognuno è tenuto d’avanzarsi nella presente. La storia è piena di scellerati ch’erano ben lontani dall’osservare questi comandamenti, e dal praticare alcun atto di pietà. Gli esempi che ci si trovano, d’una vita mescolata d’azioni perverse e d’atti di religione mossi da un sentimento qualunque, e non da fini umani, hanno una celebrità particolare. E con ragione; perchè l’unione di cose tanto contrarie, come perversità e pratiche cristiane, la durata d’un certo rispetto a quella religione, che non comanda se non il bene, in un core che sceglie di fare il male, è sempre una contradizione notabile, un tristo fenomeno di natura umana. Luigi XI onorava superstiziosamente, come dice il Bossuet5, un’immagine della Madonna: chi non lo sa? Ma se Luigi XI, come per furore di dominare, violò tante leggi divine e ecclesiastiche, d’umanità, di giustizia e di bona fede, fosse anche diventato trasgressore di tutte le leggi puramente ecclesiastiche, è da credere che sarebbe diventato migliore per questo? Avrebbe perduto un incoraggimento al male, o non forse un ultimo ritegno? Non avrebbe con ciò forse votato il suo core d’ogni sentimento di pietà, d’ordine, di suggezione, di fratellanza? Alcuni storici asseriscono che facesse avvelenare il duca di Guienne suo fratello; e si racconta che sia stato sentito chiederne perdono a quell’immagine. La qual cosa non proverebbe altro, se non che la vista d’un’immagine sacra risvegliava in lui il rimorso; ch’egli si trovava in quel momento trasportato alla contemplazione d’un ordine di cose, in cui l’ambizione, la ragione di stato, la sicurezza, l’offese ricevute, non scusano i delitti; che davanti all’immagine di quella Vergine, il di cui nome desta i sentimenti più teneri e più nobili, sentiva cos’è un fratricidio.

Se c’è, tra cento, qualche omicida che mangi di magro, ebbene è un uomo che spera ancora nella misericordia; avrà qualche misericordia nel core. È un resto di terrore de’ giudizi di Dio, è un lato accessibile al pentimento, una rimembranza di virtù e di cristianesimo. Lo sciagurato pensa qualche volta, che c’è un Dio di ricompense e di gastighi: se risparmia un supplichevole, se fa volontariamente qualche tregua a’ suoi delitti, e soprattutto se un giorno ritorna alla virtù, è a questo pensiero che si dovrà attribuirlo.

Dobbiamo qui prevenire un’obiezione. La superstizione che fa confidare nell’adempimento di certi precetti, o nell’uso di certe pratiche pie, come supplimento ad altri doveri essenziali, è un argomento frequentissimo di lagnanza e di rimprovero nell’istruzioni de’ pastori cattolici: il male, si dirà, esiste dunque, e è molto comune. [p. 507 modifica]

Per sentire la gran differenza che passa tra il male che questi combattono, e quello di cui s’è parlato finora, bisogna distinguere due gradi o, per dir meglio, due generi di bontà: quella di cui si contenta il mondo, e quella voluta dal Vangelo, e predicata da’ suoi ministri. Il mondo, per il suo interesse e per la sua tranquillità, vuole degli uomini che s’astengano dai delitti (senza rinunziare ad approvar quelli che possano giovare ad alcuni), e esercitino virtù utili temporalmente agli altri: il Vangelo vuol questo e il core. Ce ne sont pas les désordres évités qui font les chrétiens, ce sont des vertits de l’ Evangile pratiquées; ce ne sont pas des moeurs irréprochables aux yeux des hommes, c’est l’esprit de Jésus Christ crucifié6.

È contro la mancanza di questo spirito che declamano i preti cattolici, e contro la persuasione che possa esser supplito da pratiche esterne di religione; che vivendo per il mondo, e non si curando o non ricordandosi del fine soprannaturale che deve animare l’azioni del cristiano, s’abbia ragione di credersi tale per il semplice adempimento di certi precetti, i quali non hanno valore che dal core. Ma quelli a cui sono rivolti questi rimproveri, son uomini de’ quali il mondo non ha che dire; sono i migliori tra i suoi figli. E se la Chiesa non è contenta di loro, è perchè mira a un ordine di santità che il mondo non conosce; è perchè, non avendo altro interesse che la salute degli uomini, vuole le virtù che perfezionano chi le esercita, e non solamente quelle che sono utili a chi le predica. Non basta alla Chiesa che gli uomini non s’uccidano tra di loro; vuole che abbiano un core fraterno l’uno per l’altro, vuole che s’amino in Gesù Cristo: davanti ad essa nulla può supplire a questo sentimento; ogni atto di culto che venga da un core privo di carità, è, a’ suoi occhi, superstizioso e menzognero. Ma la superstizione che concilia l’omicidio e lo spergiuro con l’ubbidienza a’ precetti, è una mostruosità che, ardirei dire, non ha bisogno d’esser combattuta.

Che se pure se ne incontrasse qualche esempio, quali riflessioni utili ci si potrebbero far sopra? qual sentimento dovrebbero, ispirare i precetti della Chiesa quand’anche li vedessimo scrupolosamente osservati dall’uomo più reo? Si può indicarlo con piena fiducia, perchè c’è stato insegnato da chi non può errare. Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti, che pagate la decima della menta e dell’aneto e del cumino, e avete trascurato il più essenziale della legge, la giustizia, e la misericordia, e la fede. Così rimproverava il Figliuolo di Dio e qual contrasto tra l’importanza dei precetti disprezzati e degli eseguiti! Ma si veda qual è l’insegnamento che dà a quegl’ingannati. Non mostra di disprezzare il piccolo comandamento (anzi lo scrupolo minuto nell’adempimento di esso)7, quantunque lo metta a confronto di ciò che la legge ha di più grave: anzi, perchè la considerazione della giustizia, della misericordia e della fede non faccia concepire noncuranza per quello; perchè si veda che il male sta nella trasgressione e non nell’ubbidienza, che tutto ciò che è comandato è sacro, che tutto ciò che è pio è utile, aggiunge: Queste cose bisognava fare, senza ometter quelle8.



Note

  1. È evidente che l’illustre autore non ha inteso di parlare puramente di quelli che, in senso stretto, e nel linguaggio catechistico, si chiamano Comandamenti della Chiesa; ma del complesso delle pratiche o comandate, o approvate da essa; e in questo senso li prenderemo anche noi.
  2. Si autem Ecclesiam non audierit, sit tibi sicut ethnicus, et publicanus. Matth. XVIII, 17.
  3. Non si dimentichi la distinzione tra le trasgressioni mortali e le veniali, la quale s’applica naturalmente a’ comandamenti della Chiesa, come a quelli di Dio.
  4. Quicumque autem totam legem servaverit, offendat autem in uno, factus est omnium reus. Jac. II, 10.
  5. Abrégé de l'Histoire de France. Liv. XII, Année 1472.
  6. Massillon, Sermon du jeudi de la II semaine de Caréme. Le mauvais riche.
  7. «La legge non ordinava di pagar la decima dell'erbe più minute.» Mons. Martini, in nota al passo citato.
  8. Vae vobis, Scribæ et Pharisæi hypocritae, qui decimatis mentham et anethum et cyminum, et reliquistis quae graviora sunt legis, iudicium, et misericordiam, et fidem: haec oportuit facere, et illa non omittere. Matth. XXIII, 23.