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504 | osservazioni sulla morale cattolica |
ha violato un precetto ha violata tutta la legge1, e vorrebbe esser fedele in quelle parti che non gl’impongono il sacrifizio della sua più forte passione. Sa ancora che è un atto di dovere l’eseguire certi comandamenti, e eseguendoli si persuade confusamente di non essere affatto fuori dell’ordine, e di tenere ancora un piede nella strada della salvezza: gli pare di non essere affatto abbandonato da Dio, poichè fa alcuni atti che Dio gli comanda. E l’oscuramento della sua mente può qualche volta arrivare al segno (poichè a che non va l’intelletto soggiogato dalle passioni?) che quegli atti, quantunque scompagnati dall’amore della giustizia, gli paiano una specie d’espiazione; e prenda per un sentimento di religione quello che non è altro che un’illusione volontaria dell’empietà.
Ora, per decidere se tra i delinquenti di mestiere in Italia sia più frequente il disprezzo della religione, o questa superstizione, ognuno vede quali ricerche converrebbe aver fatte: visitare le prigioni, vedere se coloro che ci stanno per gravi delitti nutrono sentimenti di rispetto per la Chiesa, o se ne parlano con derisione, chiedere a quelli che, per ufizio, gli esaminano e gli osservano, chiedere ai parrochi (qualora non si volesse averli per sospetti di parzialità) se coloro che si sono abbandonati al mal vivere si distinguevano nell’osservanza de’ precetti ecclesiastici; prendere insomma le più esatte informazioni. Le quali non essendo io in caso di prendere, non posso che esprimere un’opinione, quella che mi son fatta, per la tendenza che abbiamo tutti a formarci un giudizio generale sui fatti d’uno stesso genere, quantunque le notizie che ne abbiamo non siano, nè in quel numero, nè di quella certezza che si richiederebbe a dimostrarne la verità. Sono dunque di parere, che, tra quelli che corrono in Italia la deplorabile carriera del delitto, ci sia, a’ nostri giorni, poca o nessuna superstizione, e molta noncuranza, o ignoranza di tutte le cose della religione. E non basta a farmi rinunziare a questa opinione, che l’illustre autore abbia manifestata l’opposta; perchè, per quanto peso abbia la sua autorità, una decisione sopra un complesso di fatti non si riceve se non con molte prove e con molti ragionamenti. So bene che molti stranieri fanno un’eccezione per l’Italia, adottando senza esame tutto ciò che le si possa attribuire, in fatto di superstizione; ma non sono persuaso della bontà di questo metodo. Non pretendo quindi di proporre agli altri la mia opinione, ma la sottopongo al giudizio di quelli che hanno potuto fare delle osservazioni sufficienti su questo fatto.
Quantunque però qui non si tratti di difender l’Italia, ma la religione, non si può a meno di non protestar di passaggio contro l’interpretazione che potranno dare all’esempio addotto dall’autore quegli stranieri appunto che sono avvezzi a credere anche al di là del male che loro vien detto di questa povera Italia; e i quali, sentendo parlare d’assassini che mangiano di magro, potranno farsi subito l’idea, che l’Italia sia piena d’uomini che vivano così tra il sicario e il certosino. Se mai, per un caso strano, questo libricciolo, capitasse alle mani d’alcuno di loro, vedano se è troppa pretensione il chiedere che si facciano dell’altre ricerche, prima di formarsi una tale idea d’una nazione.
Ma, per venire alla relazione di questi fatti co’ princìpi della Chiesa, l’impressione che, per l’onore della verità e della religione, importa sopra tutto di distruggere, è quella che può nascere contro i precetti della Chiesa e contro il suo spirito, dal veder questi precetti presentati come in contrasto con le leggi della morale; dal veder messi insieme astinenza
- ↑ Quicumque autem totam legem servaverit, offendat autem in uno, factus est omnium reus. Jac. II, 10.