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capitolo decimoterzo 503

perflua, e quindi falsa; e sarebbe quindi senza fondamento, come senza motivo ogni precetto religioso: giacchè, avendo ogn’uomo nel cor suo, quella gran tavola, a che pro, e con quale autorità, quelle medesime del Sinai? Ma una tale supposizione è apertamente rinnegata dal fatto, non meno che dalla rivelazione, come se n’è discorso a lungo in un capitolo antecedente. Se poi s’intende semplicemente, che ci sia nell’uomo, dotato com’è d’intelletto e di volontà, una potenza di discernere il bene e il male morale; potenza però non solo limitata di sua natura, ma (d’onde che ciò sia venuto) indebolita e guasta a segno, e di prender troppo spesso il male per bene, il bene per male, e d’attaccarsi al male, e rifuggire dal bene, anche conoscendoli, come il fatto pur troppo dimostra; e se si ammette insieme, che ci sia una religione istituita da Dio, appunto per dirigere e aiutar l’intelletto nel discernimento del bene e del male, e la volontà nella scelta; allora bisognerà dire che uno de’ caratteri essenziali e indispensabili di questa religione dev’essere il promulgare dei comandamenti, e promulgarli con un’autorità soprannaturale, come la sua origine.

2.° E così ha fatto la Chiesa: ha muniti i suoi comandamenti della stessa sanzione che hanno i comandamenti di Dio, perchè è da Dio essa medesima; e facendo altrimenti, diffiderebbe dell’autorità conferitale da Colui che disse Chi non ascolta la Chiesa sia riguardato come un pagano e un pubblicano1. E cosa sarebbero de’ comandamenti senza sanzione? o qual altra sanzione si potrebbe dare a de’ comandamenti che riguardano anche, anzi principalmente, la volontà? La Chiesa dunque fa dipendere, come s’è già detto altrove, la salvezza dall’osservanza de’ suoi comandamenti, la trasgressione de’ quali non può venire che da un core indocile e noncurante di quella vita, che è data a chi l’apprezza, a chi la sospira, a chi la cerca coi mezzi ordinati da Gesù Cristo2. Questa è la sua dottrina perpetua, tanto manifesta e universale, che ogni cattolico può darne testimonianza quando si sia.

Ma l’essenziale da esaminarsi è l’effetto attribuito a questi comandamenti, d’esser quasi un orribile supplemento alle leggi eterne della morale, una scusa per trasgredirle senza rimorso: questo è il punto di vista, e l’unico punto di vista dal quale sono osservati nel testo. Due cose sono qui da considerarsi: il fatto, e la dependenza di esso da’ princìpi costitutivi della Chiesa.

Il fatto è una parte importantissima di statistica morale. Ora ecco quali sono, al parer mio, le massime da aversi di mira, e le ricerche da farsi, per venire alla cognizione di esso.

La religione non comanda che cose sante: credo questo punto fuori di controversia. Quindi la vera e intera fedeltà alla religione è incombinabile con qualunque delitto; quindi l’uomo che vuol esser vizioso, non potendo conciliare le sue azioni con la religione quale è, tende ad abbandonarla o ad alterarla, tende all’irreligione o alla superstizione. Nel primo caso, la sua avversione ai precetti che non vuole osservare lo porta a desiderare che siano mere finzioni umane; e la rabbia d’averli violati cambia qualche volta il desiderio in persuasione.

Ma può anche cadere in un’altra specie d’accecamento. Sa che il delitto lo esclude dalla parte de’ giusti; ma non può lasciar di credere alla promessa, e non ci vorrebbe rinunziare; si sforza di dimenticare che chi

  1. Si autem Ecclesiam non audierit, sit tibi sicut ethnicus, et publicanus. Matth. XVIII, 17.
  2. Non si dimentichi la distinzione tra le trasgressioni mortali e le veniali, la quale s’applica naturalmente a’ comandamenti della Chiesa, come a quelli di Dio.