Osservazioni di Giovanni Lovrich/De' Costumi de' Morlacchi/§. 24. Astrologia giudiziaria

§. 24. Astrologia giudiziaria

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§. XXIV.

Astrologia giudiziaria.

L
E stesse idee, che dominano fra’ dotti Lunatici di alcune Nazioni colte in proposito dell’astrologia, regnano anche fra’ Morlacchi. Essi credono, che il gracchiar delle rane, il grattarsi de’ gatti, e la positura di colcarsi delle pecore, diversa dal solito, sieno nuncj infallibili di una futura pioggia. È chiaro, che la diversa positura della Luna nel Novilunio indica pioggia anch’essa, o vento. È più ch’evidente, che ai tempi del Plenilunio, e del Novilunio non convien lavar robba di lino, altrimenti la si marcisce. Quando due Parelj si vedono la sera al tramontar del Sole, è segno di pioggia, se appariscono la mattina, segno di vento. Ne si persuada alcuno, che i Morlacchi parlino a capriccio di queste predizioni meteorologiche: essi citano in prova le loro osservazioni, che di cento non so quante sieno [p. 182 modifica]vere. Ma saranno perciò condannabili? Si regolano sul gusto degli Astrologi più colti. Raccontano per altro alcuni de’ Morlacchi, che vi eran due fratelli Zingari, così perfetti Astrologi, che sempre si verificava la predizione di uno di essi. Uno diceva, che à da piovere, e l’altro di no. Egli è certo, che uno degli due avrà avuto sempre ragione. Ciò somiglia alla predizione de’ Calogeri intorno la morte di qualcuno del loro rito. Uno di essi dice all’ammalato, che morrà, e l’altro di no. Quello che indovina è tenuto per Profeta, dell’altro non si parla. La Fisica de’ Morlacchi intorno la formazione delle Meteore è solamente loro propria. La superstizione spiega tutti i fenomeni. La grandine, che si cava dall’ordinario è certamente gettata dalle Streghe, ed i nugoli neri, sono il loro domicilio in aria. I Tifoni, che alle volte trasportano de’ pesci marini sulle Montagne, sono Stregoni anch’essi. I tuoni sono i carri di S. Elia, che se la diverte carreggiando in Cielo, e sopra questi porta il cannone, con cui va saettando. Le pietre cristallizzate dai fulmini, che si trovano ne’ letti de’ torrenti, od altrove, sono le saette, che feriscono gli uomini, come credeva pure qualche Filosofo. I Morlacchi quando le trovano, le portano in dosso, e si credono sicuri da qualunque sorte de’ fulmini. E perchè S. Elia viene creduto il direttore di essi, gli portano i Morlacchi una devozione incredibile, e la sua giornata santificano tutta, od almeno fanno mezza Festa. Così se talora accade, che un bue, od un cavallo si rompa il piede, od altro, tosto credono di aver fatto un male a lavorar in quella giornata, e nascendo la devozione unita alla loro pigrizia, ne santificano in seguito la metà, e prendono per prottettore il San[p. 183 modifica]to, che in essa cade. Di queste mezze Feste, di cui si potrebbe riempire mezzo Lunario, ne sono il più delle volte origine gli Ecclesiastici, che non pensando alla necessità de’ lavori di Campagna, distolgono i Morlacchi da molte miglia lontani ad udire una Messa imponendo loro per debito, quando per tale non è decretato dall’autorità della S. Madre Chiesa, e talvolta li obbligano ad offrir una data elemosina, pria di dar permesso loro di lavorare. Questi abusi scandalosissimi si rendono di giorno in giorno sempre più intollerabili. I colori dell’Iride, o sia arco celeste, sono i segni della buona, o cattiva raccolta del vino, o dell’oglio. Marco Antonio de Dominis nostro Dalmatino fu il primo, che coll’esperienza à dimostrata la ragion de’ colori nell’Iride, ed un celebre Filosofo oltramontano non si vergognò di appropriarsi il suo ritrovato. È cosa sorprendente, che i Dalmatini di que’ tempi barbari non lo abbiano preso per Istregone, o Mago; ma la turba de’ fanatici, ed ignoranti non mancò di farlo impazzire colle persecuzioni, ed alcune sue proposizioni mal intese, lo proclamarono Eretico. Un tale affronto irritò a segno il Dominis, che dimenticandosi, come si pretende, i doveri di vero Cristiano, scrisse qualch’empietà contro la nostra santa Religione. E perchè tra le altre vi era anche quella, che i Vescovi devono avere la stessa autorità, che i Papi, fu chiamato a Roma, ove sendo abbruciato pagò il fio della sua Dottrina. Torniamo a’ Morlacchi. Essi ànno le loro osservazioni anche in proposito de’ venti Boreali, che per mancanza anche degli alberi dominano sì fortemente in alcuni luoghi della Dalmazia, e specialmente a Sign, che non di rado portano i tetti delle povere capanne di paglia in a[p. 184 modifica]ria.1 Se Borea non cessa il terzo giorno, dura quattordici, se non cessa il decimo quarto, dura diecisette, nè può durare di più. Ai tempi delFonte/commento: Pagina:Osservazioni di Giovanni Lovrich.djvu/269 Plenilunio, o Novilunio suol durar otto giorni. Ma queste osservazioni non si accordano con quelle, che riferisce il Fortis, parlando delle Meteore del Primorie2 onde ne viene in conseguenza, che il vento Boreale non à periodi precisi, ed è cosa più che certa, che la sua durata dipende dal caso. È volgare opinione, che questo vento esca dalle Caverne de’ monti, ma ciò non può essere vero assolutamente. Fui assicurato da moltissimi Morlacchi, che vi sono alcune Caverne ne’ Monti, ed una nella Montagna di Prologh, da cui con sommo impeto prorompe il vento incessantemente, e nel più caldo [p. 185 modifica]bollor di State, se si getta in essa qualunque peso, il vento lo rispinge. Di Verno la furia del vento Cavernoso niente si accresce, e se Borea dovesse aver qualche relazione con esso, soffiarebbe perennemente, che non soffia. Credesi anche, che se il giorno di S. Giorgio piove, v’è abbondanza di ogni sorta di biade. Si osservò, che il giorno di S. Giorgio non piovette, e l’abbondanza fu somma, e viceversa. Egli è un difetto troppo comune di que’, che sono indurati in qualche opinione, osservar solamente ciò, che loro è parziale.

Ma vegniamo alle predizioni, che deducono i Morlacchi dai segni Celesti. Ebbi motivo di raccor molte strane opinioni nell’apparizione della Cometa del 1769, e dell’aurora Boreale dell’anno stesso. La Cometa per più giorni si fece vedere verso la mezza notte nel mese di Agosto, e poi disparve, e tornò comparire di Ottobre. La sua coda volgeva all’Oriente, e questo era segno della sicura distruzione de’ Turchi per la guerra, che aveano allora co’ Moscoviti. Questa fu la prima opinione. Ma succedè, che ai 28. di Novembre dell’anno stesso si fece sentire un terremoto, che per le memorie, che si ànno in Dalmazia, pochi vi furono de’ simili. Allora distrutta la chimerica supposizione, che la Cometa fosse causa della rovinaFonte/commento: Pagina:Osservazioni di Giovanni Lovrich.djvu/269 de’ Turchi, la credettero l’annuncio di un sì terribile terremoto, ed ebbero ragione, poichè non avvenne un mal peggiore, di cui la potessero incolpare. La sera innanzi a questo terremoto sorse all’improvviso il vento Boreale, ed il contrasto de’ nugoli, più neri del carbone dimostrava una quantità di materia ellettrica in aria. Furono osservati la notte stessa alcuni lampi a Ciel sereno, e questi sono atti a metter in somma costernazione il popolac[p. 186 modifica]cio, che ignora la causa. Ma spuntato, che fu il novo giorno, la furia de’ venti cresceva sempre più, nè mancava aumentarsi il contrasto de’ nugoli, che confusamente giravano uno per un vento, e l’altro per l’altro. Il vento, che dominava con sommo impeto in terra era Borea, e verso l’ora di mezzo giorno, in cui si fe sentir il terremoto, incalzò ancora di più. I coperti delle case, s’eran di coppi, o pietre scissili volavano per l’aria, e si potea ben dir senza esagerare, che i sassi piovevano. Molti enormissimi massi di pietre dalle cime de’ monti precipitarono alle radici. Non saprei determinar, quanto tempo durò il terremoto, ma mi sembra, che sia arrivato ad un minuto, se non l’oltrepassò ancora; e tosto, ch’ebbe a cessare, non si vedeva altro, che polvere, e fumo, che pareva ardessero i tetti delle case. Non in ogni luogo peraltro della Dalmazia il terremoto si fece sentir ugualmente, ma ove più, ed ove meno. In nessun luogo però si fece sentir tanto, quanto ne’ contorni della Cettina, e ciò senza dubbio per le molte Caverne, che ivi esistono. Dopo un simil successo chi avesse veduti i Morlacchi, avrebbe trovata in essi più contrizione per placar l’ira Divina, che negli abitanti di Ninive, allorchè il Profeta Giona loro predisse la sommersione della Città in termine di quaranta giorni, se non si convertivano. Questa però era una cosa santa, e lodevole. Ma le invenzioni assurde, inventate dalla ignoranza, e confermate dalla malizia, che non meritavano, se non se dispregio, le aveano preso tal concetto, che si credevano verità Evangeliche. Tutti dicevano, ch’era già venuto il fin del Mondo. Un Profeta lo avea predetto, che in capo ai dieci anni ciò doveva succedere, e questo appunto era il decimo. Nè [p. 187 modifica]i Morlacchi soli erano imbevuti di queste fantastiche opinioni, ma quelli ancora, che sono tenuti ad annientarle, e vi trovarono il loro conto. L’aurora Boreale, che altre volte dinotava il sangue, che si à da spargere fra le Nazioni guerreggianti, e che perciò si vedeva anche degli uomini combatter in aria, era un segno tra gli altri dell’iminente fine del mondo. Questa più volte si fece veder verso le parti Boreali, di poi cangiar situazione, e girsene verso Tramontana, e verso l’Occidente. La Luna colla croce, che non mancavano veder le fantasie prevenute, prediceva anch’essa l’annientamento del genere umano, e la immaginaria comparsa finalmente di un uomo straordinario, mai più veduto, non lasciò più dubitar un momento. La Storia di questo si raccontava nel modo seguente. Un Morlacco, che per ben santificar le Feste del S. Natale, conduceva del vino in due otri, quanto potea portar il suo cavallo da somma, a casa propria, e prevedendo di non poter arrivar in un giorno al luogo stabilito, se ne andò a pernottare in un bosco fuori di mano. Ivi con somma meraviglia trovò un’uomo di statura straordinaria, che girava sulloFonte/commento: Pagina:Osservazioni di Giovanni Lovrich.djvu/269 spiedo un Bue intiero, per arrostirlo. La paura del Morlacco nel veder questo, come ognun si può immaginare, fu grandissima, ma il buon uomo gli fece coraggio, e volle, che cenassero insieme tutti e due. Il Gigante, che così convien chiamarlo, mangiò tutto il Bue, eccettuata la piccola porzione, che poteva mangiar il suo compagno, e dopo aver mangiato, bevette i due otri di vino, che il Morlacco conduceva per la famiglia, e con somma pontualità lo pagò anche più di quello era il suo valore. Nel dividersi dal Morlacco gli fece noto, ch’egli era la Fame, che girava pel [p. 188 modifica]Mondo. Questa favola, che si andava spacciando, faceva credere, che il Gigante non fosse veramente la fame, bensì l’Anticristo. E se l’aurora Boreale, e il terremoto, che per lo giro di due mesi di quando in quando si facea sentire, non cessavano, era credibile, che dovessero comparire in Iscena anch’Elia, ed Enocche. Chi poi abbia giocata simil commedia, precisamente non si sa.

Ora mi resta ad osservar solamente qual sia la ragione, che la Cometa, che predisse tante disavventure a’ Morlacchi, non abbia predetta veruna, o cagionata agl’Italiani, ed alle altre Nazioni più illuminate di Europa. Si può dare, ch’essi dicessero, che le Comete non ànno che fare con loro. Così, sendo comparsa una Cometa ai tempi di Vespasiano, esso disse motteggiando ai circostanti „se questo astro minaccia qualcuno, egli è il Re de’ Parti, che è de’ lunghi capelli, e non io, che sono calvo.„ Ma un terremoto, poco dissimile dal quì sopra descritto, lo precedette fra noi tre anni avanti, e nessuna Cometa venne a portarci l’annuncio, quando ciò non fosse, come crede l’avvanzo della Setta Aristotelica, ch’essendo la Cometa fuoco volante, e non vera stella, abbia portato l’avviso di volo, ed in tempo di notte, sicchè nessuno sia stato a portata di vederla. Noi non siamo così novi di tenersi a questa opinione: ed in vece di credere, che le Comete, ed altri segni Celesti sien nuncj di fortune, o disgrazie, andremo dietro alle pedate di Geremia, dove dice „Non vogliate apprendere, seguendo le traccie delle Genti, nè vogliate temere dai segni del Cielo.„ io.

  1. Internandosi alcune giornate nella Turchia, ò sentito dire, che il vento Borea non si fa più sentire, ma verso la Valacchia, ove anticamente vivevano i Morlacchi, è testimonio Ovidio, che Borea domina fieramente.

         Tantaque commoti vis est Aquilonis, ut altas
              Æquet humo turres, tectaque rapta ferat.

    sarebbe pur una cosa mirabile che serpendo Borea per le viscere de’ Monti, venisse dalla Valacchia per visitarci in Dalmazia, sbuccando dalle Caverne de’ nostri Monti. Egli sarebbe un prodigio simile a quello, che un ramo del Danubio, sia venuto a dar origine ai nostri due Fiumi Cettina, e Kerke. Ma lasciamo queste opinioni a chi si pasce volentieri di meraviglie immaginarie.

  2. La durata di Borea suol essere di giorni dispari, vale a dire di uno, di tre, cinque, sette, nove, e persino a tredici, e quindici giorni di seguito. Fortis pag. 116. Vol. 2.