Opere (Lorenzo de' Medici)/XIV. Simposio ovvero i beoni/Capitolo IV.
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CAPITOLO IV
Io avea fermo allo Steccuto l’occhio,
quando il mio duca disse: — Se piú stessi,
giugnere’ forse poi come ’l finocchio. —
Io lo pregai che alquanto rimanessi;
e fûrno tanto efficaci i mia preghi,5
che convenne a mia voglia conscendessi:
e disse: — E’ non fia cosa ch’io ti nieghi:
ma, quando tu mi spaccerai piú presto,
tanto piú in eterno mi ti leghi. —
Ed io: — Quanto lo star t’è piú molesto,10
tanto ti resterò piú obbligato.
Orsú, che mi sia detto chi è questo. —
E mostra’gli un che mi venía dallato,
che di presenzia era assai grande e bello:
sun’ una mula vien come legato.15
Io presi ammirazion, vedendo quello,
ché mi parve dallunge in croce Piero;
ma connobil dappresso Belfradello,
e dissi: — O Bartolin, deh! dimmi ’l vero:
che è cagion che lui cosí cavalca?20
Fa ei per ir piú presto in sul sentiero?
— Forse che n’è cagion la codicalca,
— rispose a me, — ch’assai roba v’è corsa
che non lo lascerebbe ir colla calca.
O ègli perché gli ha piena la borsa,25
o perché gli è poltron di sua natura,
o perché giá la rogna in lebbra è scorsa.
Benché in viso ti paia uom di gran cura,
non credere alla falsa sua presenza;
ch’egli è pure una sciocca creatura.30
Costui è bevitor per eccellenza:
ma in vero e’ bee molto pulitamente,
ché in corte lo ’mparò fuor di Fiorenza.
Deh! lascial andar via fra l’altra gente;
ché, stu sapessi quanto poco è saggio,35
non lo vorresti o amico o parente.
Vedi tu un che séguita il viaggio,
unto bisunto come un carnesciale?
Gli è ’l maestro de’ corrier, quel del vantaggio.
Costui taverna fa, ma ne fa male;40
ch’egli ha beúto tanto al fin dell’anno,
che non ne resta mai in capitale:
il Fico, il Buco, le Bertucce il sanno:
e perché malvagia non ha in bottega,
al candiotto fa ancor spesso danno.45
Quando gli vien di lettere una piega
e che la porta a’ mercatanti lieto,
lui e lor san di vino a chi la spiega.
Quel che tu vedi che a costui vien drieto,
a onde balenando a spinapesce,50
se ti par ebro, egli è, ma non d’aceto:
egli è Stefan Sensal, che gli riesce
meglio il diventar zuppa in dua parole,
piú che non fa il notar nell’acqua il pesce.
Non altrimenti se si scuopre il sole55
nell’oriente, illuminar di botto
ogni animale e tutto ’l mondo suole:
cosí costui al ber tanto è corrotto,
che, come in viso l’ha guardato un tratto,
non l’ha prima veduto, ch’egli è cotto.60
Vedi tu, drieto a lui non giá gran fatto,
tre, ch’esser debbon dodicentinaia,
che come porci corrono allo imbratto?
E’ son fratelli, e poco non ti paia,
d’un padre, e cosí son fratelli al bere:65
dua ve n’è putte, e ’l terzo una ghiandaia.
Quando son tutt’a tre a un tagliere,
non si fa alcun pregar, tanto è cortese,
e non bisogna molto proferére.
Quel men grasso è messer Matteo Stiattese.70
Quel, che par che a fatica e’ si conduca,
è piú destro alla pruova che in palese:
io ’l vidi giá uscir per una buca
quel messer Pagol grasso, ch’è secondo,
ch’a pena n’uscirebbe una festuca.75
Se fussi ognun di lor sí sitibondo
d’acqua, com’e’ ne son crudel nimici,
credo che resterebbe in secco il mondo.
Il terzo che tu vedi, ch’è giá quici,
pur di teologia ha qualche inizio,80
e dottorossi per mezzo d’amici,
ed ha imparato che ’l maggior supplizio,
che avessi in terra il nostro Salvatore,
fu quando in sulla croce e’ disse: — Sitio; —
e par che se gli scoppi ed apra il core,85
se predicando vien mai a quel passo
che mette se medesmo in quel dolore.
Se come e’ mangia e bee e come è grasso
e’ fussi dotto, niun santo Agostino
s’allegherebbe, o chi insanguinò il sasso.90
Egli ha studiato in greco ed in latino
tanto, che sa che ’l grasso di vitella
allarga il petto, e beelo come il vino.
Benché sudin fra questa brigatella,
io ti so dir ch’egli hanno a rasciugarsi;95
né ’l posson far con una metedella.
Il cammin gli ha soffregati e riarsi,
ma sanno ch’egli è buona medicina
a questo mal, de’ bicchieri appiccarsi.
Lasciali andar colla virtú divina. — 100