Opere (Lorenzo de' Medici)/XIV. Simposio ovvero i beoni/Capitolo III.

Capitolo III.

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CAPITOLO III


     Avea finito Bartolin di dire:
e perché ’l tempo passa e non aspetta,
si volse a me dicendo: — Io vo’ partire. —
     Ed io a lui: — Deh! lascia tanta fretta,
e dimmi un poco ancor che gente è questa5
finch’io conosca il resto della setta.
     Chi è quel c’ha quella berretta in testa,
ed il cappuccio porta in sulla spalla? —
E lui: — La vista sua tel manifesta:
     ve’ come lieto vien che nel vin galla:10
è Bertoldo Corsin che m’innamora,
tanto e sí bene al suon del bicchier balla.
     Quando beúto egli ha, piscia una gora,
ch’io credo che un mulin macinerebbe;
ve’ ’l suo figliol, che con lui viene ancora.15
     Questo, come da suo’ prim’anni crebbe,
dette presagio ver della sua vita
che bevitore e goditor sarebbe.
     Dice il padre che a bere e’ lo rinvita:
e non ti potre’ dir quanto contento20
egli ha di questo, ed al ben far l’aita.
     — Chi è quel che ha un mento sotto a’ mento?
E’ non mi par che sia della spezie etica. —
E lui: — È lo Scassina a tuo talento.
     Questo giá ebbe il mal della diabetica;25
cominciògli la sete insino allotta,
né mai d’allora in qua altro farnetica.

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     — Costui chi è che ne vien colla frotta,
che un legno par portato dalla piena,
e debbe esser in punto a qualunche otta?30
     Io me ne avveggo ben perch’ei balena,
volentier de’ tenere in molle il becco. —
E lui: — Presto sará tua voglia piena.
     Come chi trae colla sua mira al lecco,
cosí costui al ber fermato ha ’l punto;35
e, se balena, ei non balena a secco.
     Il vin l’ha in tutto logoro e consunto:
sentito hai ricordar Filippo vecchio;
e ’l giovane ancor c’è, ma non è giunto. —
     Io posi alle parole sua l’orecchio:40
e lui soggiunse, che vedeva ch’io
di domandar facea nuovo apparecchio:
     — Conosco, innanzi dica, il tuo disio;
e di questo per pruova ora avvedráti
ché tel dimosterrò col parlar mio.45
     So che que’ sei, che insieme vengon, guati,
ratti che par che sieno in sulla fatta:
sappi che tutt’a sei e’ son cognati.
     Quel ch’è nel mezzo è Niccolò di Schiatta.
che non gli diventò mai ’l vino aceto50
e la sua parte ti so dir n’appiatta.
     Quel da man destra è Bobi da Diacceto:
quando, come ’l cammel, la soma ha elli,
è gran fatica a farlo poi star cheto.
     Dalla sinistra vien Checco Spinelli:55
io credo che costui piú ne divori
a pasto che non sien dua carratelli.
     Allato a lui vien poi Giulian Ginori:
perch’e’ ti paia piccolo e sparuto,
e’ bee e mangia poi quanto i maggiori.60
     Non guardar perch’e’ sia cosí minuto;
ché, quando e’ ne vien poi al paragone,
egli ha giá presso ad un baril tenuto.

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     L’altro, credo, bere’ per tre persone:
stu nol conosci, egli è Giovan Giuntini;65
e ve n’è uno quando lui si pone:
     ei non s’intende giá molto de’ vini,
basta che s’empia. — E quel dal lato manco?
— Egli e Iacopo tuo de’ Marsuppini:
     di tutti e d’anni e di persona manco,70
egli ha piú sete, e mai non saria messo
per tristo battaglier, ma fiero e franco.
     Vedi tu un che a questi viene appresso,
benché ne venga adagio a passo a passo?
Egli è ’l grasso Spinelli, egli è ben desso.75
     Perch’egli è, come vedi, sconcio e grasso,
però a suo bel desir piano cammina:
io non te lo vo’ dir, se fa fracasso.
     Sentistu mai dir d’una cappellina,
che s’avea messo in capo di guarnello,80
e non se la potea trar la mattina?
     Par il bere a costui sí buono e bello,
che tutto il giorno l’unghia si morsecchia
per aver sete: or ve’ sottil cervello!
     Non va sí volentier al fior la pecchia,85
come costui fa all’odor di Bacco:
e, se tu apparecchi, egli sparecchia.
     Da sezzo egli è come al principio stracco:
cacio, carne, uova, pesce egli avviluppa;
e frutte ed erbe, come fussi un ciacco.90
     L’altro, che drieto a piè nel fango inzuppa,
com’ei non è men grasso, e’ non bee meno;
e ’l pan gli manca solo a far la zuppa.
     Egli è ’l Grasso Spezial magno e sereno,
che non si lascia giá tôr la sua parte95
e mai non bee, se non col bicchier pieno.
     Quel che tu vedi che si sta in disparte,
perch’è pur grasso, gl’incresce il cammino:
egli è ’l maestro ver della nostra arte:

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     è lo Steccuto, che bee tanto vino,100
che a parlarne o pensarvi mi spaventa;
sol bee per tutti noi del Dragoncino.
     Quando gliFonte/commento: Edimburgo, 1912: Quand’egli ha ben beúto, e’ s’addormenta;
e nel dormir poi russa tanto forte,
che convien pel romor che si risenta:105
     e sempre suda e sa un po’ di forte. —