Novelle orientali/II. Crudeltà non più udita di un padre
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | I. Avventure della figliuola di un Visir | III. I tre Truffatori | ► |
II.
Crudeltà non più udita di un padre.
Un negoziante detto Kebal avea presa per moglie una giovane donna bella e ricca; e quantunque la legge maomettana ammetta la pluralità delle mogli, costei, imperiosa di natura, non volle mai con altra donna dividere nè il cuore, nè il letto del marito. Kebal, uomo debole e al tutto sottoposto a lei, avea timore di una moglie, da cui avea ricevuta la sua sorte, anzi giurata le avea una fedeltà da non mancarle; ma trovandosi da lei lontano, poco durò a dimenticarsi de’ giuramenti a lei fatti.
Essendo stato costretto dalle faccende del suo traffico a fare un viaggio, s’innamorò di una giovinetta schiava, da lui comperata pel prezzo di cinquecento zecchini. A capo di nove mesi la schiava gli partorì un fanciullo, la cui nascita non solo non fu allegrezza al padre, ma gravissimo spavento.
Kebal, il quale volea nel suo governo domestico la pace, non ebbe punto ribrezzo di acquistarsela con un delitto: la moglie da lui lasciata in dimenticanza, in un momento di ebbrezza gli si presenta alla fantasia, e per timore di una donna gelosa, spogliasi di ogni sentimento umano. Comincia dal sagrificare, per aver tranquillità, lo sventurato oggetto del suo amore: poichè egli ebbe fatta morire la madre, volle anche sacrificare il figliuolo; ma la voce della natura, per quanto fosse crudele, si fece udire nel cuor suo a suo dispetto, e gli arrestò il braccio; e per non versare il proprio sangue, prese il partito di portare il fanciullo in un deserto, stimando che l’innocente vittima dovesse quivi fra poco perire. Ma la divina provvidenza che custodiva la vita del fanciullo, condusse un pastore là dov’era stato abbandonato: bellezza, gridi, miserie, ogni cosa commosse il povero pastore, il quale lo arrecò alla sua capanna, dove la moglie, non men di lui compassionevole, si prese l’obbligo volentieri di allevarlo e gli diede per balia una capra. Era egli pervenuto agli anni quattro dell’età sua, quando Kebal viaggiando passò per la villa in cui dimorava il pastore, e divenne suo ospite: vide quivi il figliuolo proprio da lui non conosciuto; ma o fosse che la sua gran bellezza gli facesse colpo, o che natura gli parlasse a pro di lui, si commosse al vederlo, e domandò al pastore s’egli era suo padre.
Non si può dire lo stupore di Kebal quando il pastore gli ebbe narrato in qual forma ritrovato avea il fanciullo, e conobbe ch’era il suo figliuolo. Dietro all’affetto del sangue che gli avea tocco il cuore, ne vennero i sentimenti di un odio mortale; con tutto ciò s’infinse, e fece le viste che gli piacessero le fattezze del fanciullo; domandò con instanza al pastore che glielo vendesse, e gli offerse cinquanta zecchini.
Il pastore considerando la sua povertà, l’amicizia pel fanciullo, e tenendo per cosa certa che sarebbe stato più fortunato con un uomo ricco che in sua compagnia, consentì all’offerta. Non potea immaginarsi mai quello che sovrastava al suo allievo.
Non sì tosto l’ebbe Kebal nelle mani, che seco via di là lo condusse sulla riva del mare; nè bellezza, nè innocenza, nè tenere carezze, nè lagrime del povero fanciullo furono bastanti ad ammollire quell’animo di tigre. Prende il figliuolo, lo cuce in un sacco di cuojo, e gittalo in mare, dicendo fra sè: Ora non fuggirai tu la morte. Ma altro avea disposto il Cielo. Il sacco diè nelle reti di un pescatore che nello stesso punto lo trasse di là per caso.
Maravigliasi il pescatore, apre il sacco, e vedendovi dentro un fanciullo che respirava ancora, lo tiene sospeso pei piedi, e richiamatolo in vita, lo si arreca alla sua capanna. Era il figliuolo di Kebal destinato dalla fortuna a ritrovare in ogni luogo anime tenere ed affettuose, trattane quella del suo barbaro padre.
Il pescatore lo allevò nell’arte sua, nella quale il giovanotto divenne famoso per la sua destrezza e intrepidità. E già era pervenuto all’età di quindici anni, quando Kebal, il quale spesso facea viaggi pel suo traffico, passò per quella città in cui dimorava il giovine, e lo riscontrò in compagnia del pescatore che gli avea salvata la vita, carichi l’uno e l’altro di pesci che andavano vendendo qua e colà per le strade. Il bello aspetto del giovine corse agli occhi di Kebal, il quale per avere l’opportunità di sapere chi egli fosse, comperò certi pesciatelli dal pescatore, e poscia gli domandò se quegli era suo figliuolo. Gli rispose il pescatore che non era suo padre, e gli narrò in qual modo l’avea trovato nelle reti cucito in un sacco.
Kebal riconosciuto il figliuolo, non potea fra sè intendere come avesse potuto sfuggire una morte ch’egli avea stimata sicura: onde disperato di vedere la pessima riuscita di tante colpe, deliberò di prendere meglio che prima le sue misure: offerì al pescatore cinquecento zecchini pel prezzo del giovane, ed il mercato in breve fu conchiuso.
Kebal tenendosi tuttavia celato al figliuolo, lo tenne appresso di sè come schiavo, e nè modestia, nè fedeltà di lui, nè altro potè rintenerire il duro cuore del padre, che sempre più era determinato a farlo morire.
Erano già corsi due anni dachè il suo figliuolo lo serviva con un fervore senza pari, quando gli consegnò una lettera sigillata, e gli disse: Vanne a Bagdad, quivi ritroverai mia figliuola, e le darai questa lettera. In essa le raccomando che si prenda cura di te: tu ti rimarrai appresso di lei fino al mio ritorno, che fra poco ti verrò dietro.
Ubbidì il giovane a Kebal, e si pose subitamente in cammino. Giunto a Bagdad, s’informò dov’era l’abitazione del suo signore; e picchia all’uscio che gli viene additato. La figliuola di Kebal apre e vede un giovane bello che parea Amore, il quale le dà una lettera da parte del padre. Impaziente l’apre; ma non si potrebbe dire da quanto orrore venne côlta leggendo queste parole: Chi ti darà questa lettera è il mio maggiore nemico: a te lo mando perché tu lo faccia morire. Chieggoti tal prova del tuo affetto verso di me.
La figliuola di Kebal, non somigliante punto al padre, avea un cuore semplice e pieno di sentimento di umanità; onde, considerato con maggiore attenzione colui che le avea data la lettera, non potè sfuggire amore, dal quale le fu posta in cuore la via di salvare la vita a colui che in un punto era a lei carissimo divenuto, e di farlo suo per sempre. Impose dunque al giovane che l’aspettasse, e scrisse, contraffacendo il carattere del padre suo, un’altra lettera contenente queste parole: Colui che vi arrecherà questa lettera, è a me più caro che se fosse mio figliuolo; lo riguarderete dunque come un altro me stesso; affidategli l’amministrazione di tutte le mie facoltà, e fate sì che prenda per isposa Melahiè mia figliuola.
Poiché in tal guisa ebbe scritta la lettera, la sigillò; indi ritornata alla stanza dove avea lasciato il giovane, gli disse: Voi avete preso sbaglio; la lettera da voi datami era indirizzata a mia madre; venite meco al suo appartamento. Il giovane Kebal consegnò la lettera alla madre, la quale poichè l’ebbe letta, non sospettando punto che non fosse del marito, fece secondo l’ordine che letto avea, e diede per isposa al giovane la figliuola.
Intanto Kebal avendo terminate le sue faccende, ripigliò il cammino verso Bagdad, dove essendo giunto, rimase all’estremo maravigliato, ritrovandovi il figliuolo suo vivo e sano più che mai fosse; e ben più si maravigliò e quasi uscì di sè, quando riseppe ch’era divenuto suo genero. Tutti gli pareano casi da non potergli credere; ma il timore di avere a scoprire i suoi delitti gli fece passar la voglia di sapere come fosse stata la cosa, e prese lo spediente della dissimulazione, e mascherò sotto le apparenze dell’amicizia quell’odio mortale che portava tuttavia sempre a quell’innocente figliuolo. Melahiè sua figliuola non si lasciava tuttavia ingannare da quella falsa tranquillità, ma sempre più innamorata del suo caro sposo, tenea aperti bene gli occhi e vegliava ogni passo del padre.
Kebal di là a qualche tempo dopo il suo arrivo donò un montone a’ servi suoi, con molte secchie di vino; e disse loro: Statevi trionfando sta notte, e festeggiate il mio felice ritorno alla patria; ma un servigio di grande importanza vi chieggo. Un segreto nemico tende agguati alla mia vita; stasera lo trarrò meco a casa mia; verso l’ora quarta della notte discenderà dalla scala delle mie stanze; non sì tosto vi accorgerete di lui, che gli sarete coi pugnali addosso.
Venuta l’ora assegnata, Kebal ordinò al figliuolo ch’egli andasse alla corte dov’erano i domestici suoi, e che un certo ne conducesse davanti a lui: e già era per mettere piede sulla scala fatale, quando la moglie di lui, piena di sospetto com’era, lo arrestò, e lo scongiurò a non effettuare una commissione, nella quale parea a lei di vedere che vi fosse qualcosa di misterioso, e ne lo condusse seco.
Era Kebal intanto da varie passioni travagliato; ed essendo già passata mezza ora, ch’egli non avea ancora novella veruna della riuscita dell’iniquo ordine, volle pur sapere se finalmente i domestici suoi aveano mandata a fine la sua vendetta; per la qual cosa, mentre ch’egli scendea facendo qualche romore, coloro che aveano l’ordine suo ricevuto, e non aveano fino allora udito uomo veruno scendere la scala, tenendo per fermo quella essere l’assegnata vittima, gli si avventano in quel bujo, e lo uccidono. Tale fu la fine assai ben meritata di cotesto barbaro padre. Colui, al quale egli avea data la vita ed a cui avea più volte tentato di levarla, ereditò tutte le facoltà di lui; ed essendo i suoi natali a lui incogniti, visse in pace colla sposa, nè mai seppe ch’ella fosse sua sorella.
Lo Storico orientale finisce la storia con questo proverbio arabo: Chi cava il pozzo al fratello, egli stesso dentro vi cade.