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novella ii. 211


Non sì tosto l’ebbe Kebal nelle mani, che seco via di là lo condusse sulla riva del mare; nè bellezza, nè innocenza, nè tenere carezze, nè lagrime del povero fanciullo furono bastanti ad ammollire quell’animo di tigre. Prende il figliuolo, lo cuce in un sacco di cuojo, e gittalo in mare, dicendo fra sè: Ora non fuggirai tu la morte. Ma altro avea disposto il Cielo. Il sacco diè nelle reti di un pescatore che nello stesso punto lo trasse di là per caso.

Maravigliasi il pescatore, apre il sacco, e vedendovi dentro un fanciullo che respirava ancora, lo tiene sospeso pei piedi, e richiamatolo in vita, lo si arreca alla sua capanna. Era il figliuolo di Kebal destinato dalla fortuna a ritrovare in ogni luogo anime tenere ed affettuose, trattane quella del suo barbaro padre.

Il pescatore lo allevò nell’arte sua, nella quale il giovanotto divenne famoso per la sua destrezza e intrepidità. E già era pervenuto all’età di quindici anni, quando Kebal, il quale spesso facea viaggi pel suo traffico, passò per quella città in cui dimorava il giovine, e lo riscontrò in compagnia del pescatore che gli avea salvata la vita, carichi l’uno e l’altro di pesci che andavano vendendo qua e colà per le strade. Il bello aspetto del giovine corse agli occhi di Kebal, il quale per avere l’opportunità di sapere chi egli fosse, comperò certi pesciatelli dal pescatore, e poscia gli domandò se quegli era suo figliuolo. Gli rispose il pescatore che non era suo padre, e gli narrò in qual modo l’avea trovato nelle reti cucito in un sacco.

Kebal riconosciuto il figliuolo, non potea fra sè intendere come avesse potuto sfuggire una morte ch’egli avea stimata sicura: onde disperato di vedere la pessima riuscita di tante colpe, deliberò di prendere meglio che prima le sue misure: offerì al pescatore cinquecento zecchini pel prezzo del giovane, ed il mercato in breve fu conchiuso.

Kebal tenendosi tuttavia celato al figliuolo, lo tenne appresso di sè come schiavo, e nè modestia, nè