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210 | novella ii. |
delitto: la moglie da lui lasciata in dimenticanza, in un momento di ebbrezza gli si presenta alla fantasia, e per timore di una donna gelosa, spogliasi di ogni sentimento umano. Comincia dal sagrificare, per aver tranquillità, lo sventurato oggetto del suo amore: poichè egli ebbe fatta morire la madre, volle anche sacrificare il figliuolo; ma la voce della natura, per quanto fosse crudele, si fece udire nel cuor suo a suo dispetto, e gli arrestò il braccio; e per non versare il proprio sangue, prese il partito di portare il fanciullo in un deserto, stimando che l’innocente vittima dovesse quivi fra poco perire. Ma la divina provvidenza che custodiva la vita del fanciullo, condusse un pastore là dov’era stato abbandonato: bellezza, gridi, miserie, ogni cosa commosse il povero pastore, il quale lo arrecò alla sua capanna, dove la moglie, non men di lui compassionevole, si prese l’obbligo volentieri di allevarlo e gli diede per balia una capra. Era egli pervenuto agli anni quattro dell’età sua, quando Kebal viaggiando passò per la villa in cui dimorava il pastore, e divenne suo ospite: vide quivi il figliuolo proprio da lui non conosciuto; ma o fosse che la sua gran bellezza gli facesse colpo, o che natura gli parlasse a pro di lui, si commosse al vederlo, e domandò al pastore s’egli era suo padre.
Non si può dire lo stupore di Kebal quando il pastore gli ebbe narrato in qual forma ritrovato avea il fanciullo, e conobbe ch’era il suo figliuolo. Dietro all’affetto del sangue che gli avea tocco il cuore, ne vennero i sentimenti di un odio mortale; con tutto ciò s’infinse, e fece le viste che gli piacessero le fattezze del fanciullo; domandò con instanza al pastore che glielo vendesse, e gli offerse cinquanta zecchini.
Il pastore considerando la sua povertà, l’amicizia pel fanciullo, e tenendo per cosa certa che sarebbe stato più fortunato con un uomo ricco che in sua compagnia, consentì all’offerta. Non potea immaginarsi mai quello che sovrastava al suo allievo.