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novella ii. 209

Non sì tosto ebbe queste parole proferite, che spiccandosi il regio mantello, si fece vedere col suo vero vestito di femmina. Tutti e sei le caddero alle ginocchia, e le domandarono pietà e perdono di quell’eccesso, a cui un violentissimo amore gli avea tratti. La figliuola del Visir, buona ed umana, gli rilevò, e prendendo il portatore di acqua alla mano, lo fece seco sedere sul trono, e lo fe’ vestire degli ornamenti reali. Raunando finalmente i grandi del regno, narrò la sua storia, e gli pregò che riconoscessero per loro re colui ch’era già stato suo padrone. Di là a pochi dì lo prese per marito, e furono fatte le nozze solenni e veramente reali. L’ebreo, i tre fratelli pescatori ed il cavaliere vennero rimandati a’ paesi loro carichi di ricchezze, i quali, per quanto fossero belle e grandi, non poterono mai di cotanta perdita racconfortarsi.


II.


Crudeltà non più udita di un padre.


Un negoziante detto Kebal avea presa per moglie una giovane donna bella e ricca; e quantunque la legge maomettana ammetta la pluralità delle mogli, costei, imperiosa di natura, non volle mai con altra donna dividere nè il cuore, nè il letto del marito. Kebal, uomo debole e al tutto sottoposto a lei, avea timore di una moglie, da cui avea ricevuta la sua sorte, anzi giurata le avea una fedeltà da non mancarle; ma trovandosi da lei lontano, poco durò a dimenticarsi de’ giuramenti a lei fatti.

Essendo stato costretto dalle faccende del suo traffico a fare un viaggio, s’innamorò di una giovinetta schiava, da lui comperata pel prezzo di cinquecento zecchini. A capo di nove mesi la schiava gli partorì un fanciullo, la cui nascita non solo non fu allegrezza al padre, ma gravissimo spavento.

Kebal, il quale volea nel suo governo domestico la pace, non ebbe punto ribrezzo di acquistarsela con un