Novelle e racconti (Carrer)/Due palazzi
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DUE PALAZZI.
Idillio.
Cleonimo e Diotimo, zio e nipote, viaggiatori pedestri, arrestaronsi l’autunno passato, in una villetta, che ad altra stagione ebbe grande celebrità per la copia delle nobili e agiate famiglie che usavano di passarvi a diporto alcuni mesi dell’anno. E come sogliono i viaggiatori pedestri, indugiandosi a contemplare ogni cosa, e a farvi sopra un po’ di discorso, più che altrove fermaronsi dove la via era fiancheggiata da due palazzi, uno a destra antichissimo, l’altro moderno a sinistra.
Il primo aveva le muraglie storiate da bellissimi a freschi, dico bellissimi per quello che se ne poteva congetturare dai capi mozzi, dalle braccia, dai piedi, staccati dal resto della figura, e rimasti intatti, come isolette in una carta geografica, tra il calcinaccio della sottoposta intonacatura, su cui il tempo, non contento di aver portato via la bella corteccia, continuava ad esercitare l’avido dente. L’architettura tirava al gotico nelle parti più antiche dell’edifizio, dacchè vedevasi in molte parti essere state fatte delle giunte, con gusto d’arte meno decrepita. Avvicinatisi alla porta principale, che avcva un largo sogliare finissimamente intagliato, se non che nelle parti più basse i ragazzi eransi provati a tor via tutto ciò che vi aveva di scabro e sporgente; richiesero una vecchierella, che seduta nella sala terrena, e intenta a filare colla compagnia di quattro o cinque pulcini che le pigolavano intorno, mostrava di essere la guardiana, volesse loro concedere di vedere il tanto che si poteva di quella nobile fabbrica. Vadano, disse la vecchia, senza rimanersi dal lavoro. Poi, come pentita, e alzando la voce: Pierina, bada a questi signori che vogliono vedere il palazzo. Nonna, rispose d’alto la Pierina, e si udiva un affrettato calpestio di zoccoli che annunziavano l’arrivo della fanciulla.
I due viaggiatori poterono a loro bell’agio spaziare un buon paio d’ore, per una lunga fila di camere, qual più, qual meno grande, ma tutte spiranti la magnificenza e il vario gusto di un altro tempo. Le allegorie e le storie dipinte nelle pareti e ne’ soffitti, gli emblemi e i trofei ond’erano fregiati gli stipiti e le cornici, porgevano abbondevole materia alle curiose domande del nipote e alle erudite risposte dello zio. Sarebbero materia a un bel dialogo sull’andare di quelli del Vasari, o a una bella descrizione del tenore di quelle dell’Ariosto: ma credo che i miei lettori si contenteranno ch’io lasci loro aperto questo bel campo alla fantasia. Terminato l’esame non solo di quanto vi aveva nell’interno dell’edifizio, ma di ciò ancora che presentavano di considerevole gli ampi cortili, e la chiesetta, e ogni altra fabbrica attigua alla principale, si ricondussero sulla via, non dimenticando, quantunque viaggiatori pedestri, la mancia per la buona e paziente Pierina. Dico paziente, perchè quantunque ignorasse affatto che cosa fosse intagliato o dipinto, e non sapesse per conseguenza rispondere a nessuna delle interrogazioni che le furono fatte, non si stancò di venirne compagna ai due viaggiatori, per avvertirli ove i palchi erano meno sicuri, e il soffitto più prossimo a piovere in capo de’ risguardanti; e quantunque l’amica sua Bernardina a ogni poco le facesse cenni e la chiamasse dai campi.
Vogliamo adesso, disse Cleonimo a Diotimo, come furono sulla strada, vedere quest’altro palazzo? — Oh! e come mai? soggiunse il nipote: ci hanno dentro persone che non conosciamo. Ci contenteremo, riprese, di traguardare per le finestre quel tanto che si può, e fuori per la porta, la quale, essendo aperta, lascia vedere ben oltre nel giardino, e fino a quel tempietto bianco, dove forse prendono il caffè di dopopranzo. Sorrise Cleonimo, e rispose: Nipote mio caro, contentati di dare un’occhiata alla sfuggita e tirare innanzi: altrimenti que’ signori allo scorgerne così intenti a guardarne in casa loro faranno di noi un qualche balordo concetto. — E forse anco che ne concedano di appagare la nostra curiosità. — Nipote mio, ciò non mi darebbe verun piacere (Cleonimo, cosa che i miei lettori non sanno probabilmente, traeva al misantropo).
Rimessi in via, continuava Cleonimo: Alla guisa stessa di que’ due palazzi, procedono, nipote mio, le cose tutte di questo mondo. Da un lato, e a destra di quella strada che facciamo tutti, monumenti che combattono vigorosamente col tempo, ma vanno ogni dì più che l’altro soggiacendo, e perdendosi nella dimenticanza. Finchè sono ancora in piedi, rechiamoci a visitarne le interne parti, e le troveremo ricche e abbellite di ogni genere di lavori d’arte, quali forse l’industria attuale non saprebbe ricopiare. Là entro belle storie di numi e di eroi, innumerevoli emblemi di virtù e di scienze, fiori, conchiglie, delfini, giganti: tutti vi hanno i loro posti, fino a que’ poveri nani che durano al vento e alla pioggia sui pilastri a lato il cancello esteriore, e si contentano di far ridere chi passa, e sostenere il cappello dei mietitori quando si fermano sul vespro a mettere in acconcio gli arnesi della loro fatica. — Ma, soggiunse Diotimo, e chi vi ha detto, caro zio, che non vi sia altrettanto di bello e di magnifico nel palazzo nuovo che non abbiamo veduto? Forse ch’esso, nonchè uguagliare, avanzi di pregio quell’altro. — Ciò ancora potrebbe essere, rispose Cleonimo, ma finchè non se ne sa, salvo il poco che traspare dalle finestre, o che la volontà dei padroni vi lascia vedere, bisogna astenersi dal giudicarne. Il giudizio è da portare sul passato, di cui quell’antico palagio è quasi l’emblema: allora vizii e virtù stanno negli occhi di tutti; e quando pure il tempo ne abbia divorato qualche porzione, la parte rimasta è bastevole a far presumere la scomparsa. Finchè l’imbiancatura delle muraglie è tuttavia intatta, finchè il fumo, che sorge a certe ore del giorno, ti avverte che il palagio è abitato, bisogna contentarsi di un’occhiata alla sfuggita e tirare innanzi, per non essere creduti esploratori e maligni. In una parola: guardare nel presente, ma non sentenziare che sopra il passato; in quanto che di quello non puoi vedere che la facciata ed il fumo che poggia dal tetto, in questo entri liberamente e ti aggiri per ogni parte.
Non so se Diotimo rimanesse persuaso del discorso del zio; certo è che non soggiunse veruna parola all’incontro, ma stette taciturno, finchè arrivati ad un lago si mise a discorrere della chiarezza dell’acque, e del buon odore che rendevano alcuni cespugli che sparsamente crescevano lungo la riva.