sa stessa di que’ due palazzi, procedono, nipote mio, le cose tutte di questo mondo. Da un lato, e a destra di quella strada che facciamo tutti, monumenti che combattono vigorosamente col tempo, ma vanno ogni dì più che l’altro soggiacendo, e perdendosi nella dimenticanza. Finchè sono ancora in piedi, rechiamoci a visitarne le interne parti, e le troveremo ricche e abbellite di ogni genere di lavori d’arte, quali forse l’industria attuale non saprebbe ricopiare. Là entro belle storie di numi e di eroi, innumerevoli emblemi di virtù e di scienze, fiori, conchiglie, delfini, giganti: tutti vi hanno i loro posti, fino a que’ poveri nani che durano al vento e alla pioggia sui pilastri a lato il cancello esteriore, e si contentano di far ridere chi passa, e sostenere il cappello dei mietitori quando si fermano sul vespro a mettere in acconcio gli arnesi della loro fatica. — Ma, soggiunse Diotimo, e chi vi ha detto, caro zio, che non vi sia altrettanto di bello e di magnifico nel palazzo nuovo che non abbiamo veduto? Forse ch’esso, nonchè uguagliare, avanzi di pregio quell’altro. — Ciò ancora potrebbe essere, rispose Cleonimo, ma finchè non se ne sa, salvo il poco che traspare dalle finestre, o che la volontà dei padroni vi lascia vedere, bisogna astenersi dal giudicarne. Il giudizio è da portare sul passato, di cui quell’antico palagio è quasi l’emblema: allora vizii e virtù stanno negli occhi di tutti; e quando pure il tempo ne abbia divorato qualche