Novelle (Sercambi)/Novella LXXXIIII

Novella LXXXIIII

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LXXXIIII


L>a novella ditta, fu per compassione alquanto biasmato messer Stanghelino. E giunti al desnare in una villa dove desnarono, e poi voltosi il preposto a l’altore <disse> che una novella dica: «Fine che a Salerno saremo stasera a cena, dicendo prima una moralità». L’altore rivoltosi alla brigata disse:

«Canzon, chi morir sa cognosce vita,
però che viver dé
ognun quanto si dé, non quanto puote.
Chi da campo sa far bella partita
non può pregiar in sé
che chi spada per fermo star percuote.
La nostra vita ha sì veloce rote
a porti alfine, che color che sanno
paura a questo rischio vanno».

E ditta, a la brigata l’altor disse:

DE BONA PROVIDENTIA

Di Suffilello da Montalto, ladro.

L>anno del mcccl al tempo del perdono da Roma fu innelle parti presso a Roma, a uno castello nomato Montalto, uno malandrino omicidiano di cattiva condizione nomato Suffilello, il quale avea per mal fare da xx compagni atti a rubare e fare micidio, stando alla strada, e qual persona passava che forte e bene acompagnato non fusse, il ditto Sufilello co’ compagni lo rubava, e [p. 367 modifica]condutti a uno balzo d’una montagna giù li gittava. E questa vita teneano di continuo.

Et essendo alquanto tempo passato del perdono e molti pellegrini di più luoghi mossi et andati a Roma, e sempre di dì in dì assai ne giungeano, avenne che del mese di magio uno gentile uomo francioso nomato lo conte d’Artoi, con una sua donna assai giovana nomata madonna Bianda, con circa xii compagni a cavallo arivonno apresso al castello di Montalto, là dove Suffilello malandrino co’ compagni stavano. E vedendo che ’l ditto conte colla compagnia erano presso a uno mal passo, pensando doverli prendere, subito in aguaito si puosero. E come il conte d’Artoi giunse colla sua donna e colla brigata al mal passo, scopertisi, quelli malandrini colle lance in mano assagliron il ditto conte e’ suoi percotendone alcuno.

La donna del conte, vedendo il conte essere assaglito et alcuni loro famigli andati a terra de’ cavalli, non sapendo che fare, sopravenne Sufilello capo di quelli malandrini e col polso della lancia innel fianco a madonna Biancia percosse per sì gran forza che del cavallo la fe’ cadere. E presola per le braccia, su per la montagna la condusse, dicendo alla sua brigata che faccino che siano o morti o presi e che i cavalli e li arnesi rubino.

Li malandrini combattendo valentemente, lo conte coi suoi difendendosi vigorosamente con quella poca d’armadura che aveano; e fatto risistenzia alquanto, lo conte, vedendo li suoi a mal partito e già più che la metà presi e li altri a quelle mene, diliberò fuggire perché bene a cavallo si sentìa, dicendo a l’altri suoi: «Campate!» E dato di speroni al cavallo, si dirizzò verso una terra che quine era presso a uno miglio, e tanto camino che là giunse dove trovò alquanta brigata da cavallo e da piè li quali quine erano venuti per tener quel passo securo che pellegrini né altri fusseno morti né rubati da Sufilello né da altri. Veduto la brigata, narrato quello li era stato fatto, subito il capitano fe’ apparecchiare le suoi brigate.

E mentre che il conte camina e che le brigate s’aparacchiavano, Sufilello avea condutta monna Biancia contessa in sulla summità del monte a quel balzo dov’era sua usanza di gittare le persone [p. 368 modifica]che avea rubate acciò che di loro mai niente si potesse sapere. E quando quine l’ebbe condutta, vedendoli una bella palandra in dosso disse: «Donna, cavati cotesta palandra, che vo’ che una mia fante la goda». La donna per paura la palandra si spogliò e rimase in una bella gamurra alla quale avea apiccata una borsa innella quale avea franchi in cento d’oro. Sufilello, missovi la mano, quelli li tolse et innella scarsella si misse, e poi disse: «E cotesta gamurra ti cava, che similmente per la fante mia la voglio». La contessa disse: «Deh, per Dio e per san Piero non volere che io nuda e senza gamurra vada». Lo malandrino, desideroso d’averla, disse: «Se non te la spogli io t’uccido!» La contessa piangendo la gamurra si spogliò. E rimasa la contessa in uno piliccione bellissimo di dossi di vaio, lo malandrino, che quello ha veduto, disse: «Quello a me serà molto utile a tenermelo di notte a dosso in questi boschi». E disse: «Subito cotesto piliccione ti spoglia che io lo vo’ per me». La contessa, che non può fare altro, dice: «Piacciati per Dio e per san Piero che almeno, poi che hai aute l’altre cose, che questo mi lassi, acciò che io in camicia — che non si convene a donna andare — io non vada». Lo malandrino superbo con minacce lei fe’ cavare.

E rimasa la contessa tremando in una camicia sottilissima (intanto che quasi si scorgevano le carni di lei, tanto quella camicia sottile e bianca era), e’ non volendola perdere disse: «Cotesta camicia ti cava che per me la voglio». La contessa lagrimando amaramente disse, inginocchiandosi e colle braccia faccendo croce: «Io ti prego che nuda non vogli che la contessa d’Artoi in istrani paesi vada, e per quello Idio e per san Piero ti prometto che tutto ciò che fatto m’hai io tel perdono». Lo malandrino dispietato li disse: «Sai quello che io ti dico? Fà che subito cotesta camicia ti cavi, e pensa: come caciata te l’arai io ti gitterò giù da questo balzo, non mai camicia né panni non ti bisognerà».

La contessa, che ciò ha udito, ricordatasi di quello che Dio disse: «Aiùtati et io t’aiuterò»; faccendosi innel cuore franca, disse: «Poi che così mi dèi gittare, veggo che camicia né altro panno m’è più necessaria: tosto me la vo’ cavare, ma ben ti prego che almeno fine che cavata io me l’arò non vogli vedere la [p. 369 modifica]vergogna mia». Lo malandrino disse: «Cotesto farò io, ché la tua vergogna non vo’ vedere, ma si l’util mio». E voltosi verso il balzo, la contessa, come volto il vidde, colle mani innelle reni lo percosse e giù del balzo lo fe’ cadere. Era questo balzo più di v cento braccia d’altezza senza alcuno ritenimento: Sufilello malandrino tutto sfracellò. La donna loda Idio e pregalo che ritrovi vivo il suo marito messer lo conte d’Artoi com’ella ha morto il traditore.

E mentre che la contessa tenea col malandrino la pratica, lo capitano delle genti col conte vennero a’ luogo dove la brigata del conte avea gran pezzo sostenuto, e di pogo che ’l conte ritornò erano stati presi né anco da’ luogo partiti non s’erano, ma già le mani aveano legati a quelli del conte e cominciato a montare la costa. E sopragiungendo il capitano e ’l conte, non potendo li malandrini fuggire, tutti furono presi e’ legati funno sciolti. E non vedendovi il capo loro, cioè Sufilello, disse il capitano che n’era. Coloro disseno: «Noi non sapiamo che se ne sia, ma tanto vedemmo che su per lo monte con una donna n’andava». Lo capitano e ’l conte subito montavano la montagna per trovare lo capo de’ malandrini, e ’l conte pregava Idio che così come aveano preso li mafattori così prendino l’altro, e la contessa ritrovi.

E cavalcati di trotto giunseno al balzo, dove trovonno la contessa ch’era in camicia per volersi vestire. E contato la novella, lo capitano quelli malandrini apiccar fece in presenzia del conte.

Il conte, che si vede vendicato, dice al capitano che quel capo de’ malandrini avea alla donna tolto ni cento franchi d’oro e quelli innella scarsella se li avea messi; e che ’l pregava, per lo servigio fatto, faccia quelli d’avere e suoi siano; e che se mai innelle suoi parti capitasse, che a lui farè’ de’ be’ doni. Lo capitano, che avea desiderio d’apiccare il capo di quelli che apiccati avea, innel fondo del balzo fe’ andare, e trovaron Sufilello con più di l che morti n’avea: fu condutto alle forchi e quine apiccato in mezzo degli altri. E i franchi ccc riceuto, andonno dal conte, et acompagnatolo tutto quel terreno, lo racomandonno a Dio.

Lo conte e la contessa giunti a Roma, e confessato la contessa la morte del malandrino, liberamente asoluta fu. E ritornati in loro paesi si goderono li lor dì.

Ex.º lxxxiiii.