Novelle (Sercambi)/Novella LXXI

Novella LXXI

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Novella LXX Novella LXXII
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LXXI


L>e giovane che nella brigata erano, con gran fatica ritennero che l’ilarità non dimostrassero per la dilettevole novella, ma pur l’onestà della brigata le strinse, spettando tempo di potere di tal piacere prendere ristoro. Il preposto e l’altre brigate si puosero a sedere, li stormenti sonando preseno <le danz’e> fine che al preposto piacque ballarono. E fatto silenzio, fe’ alcuna canzonetta a’ cantatori e cantarelle cantare in questo modo, cioè:

«Amor, s’i’ son dalle tue man fuggito,
non ti doler di me ma di costei,
che ’n pena mi tormento servendo lei.
E non pensar ch’i’ sia mai più scernito
da te e lei, ben ch’ella stia nel volto,
ché redire in pregion, <chi n’esce>, è stolto.
Chi libertà cognosce quant’è cara,
chi la smarrisce a ritrovar l’apara».

E ditta, intanto la cena aparecchiata fu e di buona voglia cenarono e con allegrezza andarono a dormire fine alla mattina. E datosi a vedere la nobiltà di Napoli tanto che fu l’ora del desnare, e desnato, lo preposto a l’altore comandò che quando innel giardino fussero, dicesse alla brigata una novella. E così, danzando innello giardino funno asettati dove l’altore disse: [p. 314 modifica]


DE BONIS MORIBUS

Di Dante fiorentino, come andò a Napoli a’ re Uberto.


N>el tempo che’ re Uberto di Napoli era vivo, era in vita quel poeta novello Dante da Firenze, il quale non potendo stare in Firenza né in terra dove la Chiesa potesse, si riducea il preditto Dante alcuna volta con quelli della Scala et alcuna volta col signore di Mantova, e tutto il più col duga di Lucca, cioè con messer Castruccio Castracani.

Et essendo già la nomea sparta del senno del ditto Dante e i’ re Uberto desideroso d’averlo per vedere e sentire del suo senno e vertù, con lettere scrisse ai preditto duga e simile a Dante che li piacesse andare. E diliberato Dante d’andare in corte de’ re Uberto, si mosse di Lucca e camino tanto che giunse in Napoli, dove noi siemo. E venuto in corte vestito assai dozinalmente come soleano li poeti fare, e fatto asapere a’ re Uberto come Dante era quine venuto; e’ fattolo richiedere, era quasi <l’ora> del desnare quando Dante giunse in sala dove lo re Uberto desnar dovea.

E dato l’acqua alle mani et andati a taula, lo re alla sua mensa e li altri baroni posti a sedere, ultimamente Dante fu messo in coda di taula. Dante come savio vede quanto il signore ha avuto pogo provedimento; nondimeno, avendo Dante voluntà di mangiare, mangiò. E come ebbe mangiato, subito si partìo e caminò verso Ancona per ritornare in Toscana. Lo re Uberto, poi ch’ebbe mangiato e stato alquanto, domandò che fusse di Dante. Fulli risposto che lui s’era partito e verso Ancona caminava. Lo re, cognoscendo che a Dante non avea fatto quello onore che si convenìa, pensò che per tale cagione si fusse isdegnato, fra sé disse: «Io ho fatto male: poi che mandato avea per lui lo dovea onorare e da lui sapere quello disiava». E di subito rimandò per lui fante proprio, il quale, prima che giunto fusse ad Ancona, l’ebbe trovato e datoli la lettera de’ re.

Dante rivoltòsi e ritornò a Napoli, e d’una bellissima robba si vestìo e dinanti da’ re Uberto si presenta. Lo re lo fe’ al desnare mettere in capo della prima mensa, che al lato alla sua era. E [p. 315 modifica]vedendosi Dante esser in capo di taula, pensò dimostrare a’ re quello avea fatto. E come le vivande vennero e’ vini, Dante, prendendo la carne, et al petto e su per li panni se la fregava; così il vino si fregava sopra i panni. Lo re Uberto e li altri baroni che quine erano diceano: «Costui dé esser un poltrone, a dire che ’l vino e la broda si versa sopra i panni». Dante ode che altri lo vitupera, stava cheto. Lo re, che ha veduto tutto, rivoltosi a Dante dicendoli: «Dante, che è quello che io v’ho veduto fare? Tenendovi tanto savio, come avete usato tanta bruttura?», Dante, che ode quello desiderava, disse: «Santa corona, io cognosco che questo grande onore ch’è ora fatto, avete fatto a’ panni; e pertanto io ho voluto che i panni godano le vivande aparecchiate. E che sia vero, vi dico che io non ho ora men di senno che (allora quando prima) ci fui, poi che in coda di taula fui asettato, e questo fue perch’io era malvestito. Et ora con quel senno avea son ritornato ben vestito e m’avete fatto stare in capo di taula». Lo re Uberto, cognoscendo che Dante onestamente l’avea vituperato e che avea ditto il vero, subito comandò che a Dante fusse una robba aregata. E rivestito, Dante mangiò avendo allegrezza ché avea dimostrato a’ re la sua follia.

E levati da taula, lo re ebbe Dante da parte: praticando della sua scienza, trovò Dante esser da più che non li era stato ditto. Et onorandolo lo fe’ in corte restare per potere più avanti sentire.

Ex.º lxxi.