Novelle (Sercambi)/Novella LXX
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LXX
Giunti assai di buon’ora a Napoli lo preposto e la brigata e quine trovato di vantagio aparecchiato e preso buono ostello, stato alquanto, con una canzonetta spettaro la cena, dicendo:
«Virtù luogo non ha perché gentile
animo non ci truova: el vulgo cari
tien zappator pur ch’eli abbian denari.
Per questo ognun pecunia sempre agogna,
non avendo rispetto in chi raguna
al mar, dov’è magior c’ha più fortuna.
Quel che acquisti lassa te, e tu lui;
tristo chi spende il tempo in ciò co’ lui!»
Ditta, messe le vivande in taula, tutti asettati, li stormenti sonando, cenarono con molto diletto. E così, senza di quine partirsi, fine all’ora del dormire con piacere stenno. Et andati a posare fine alla mattina, là u’ il preposto amonìo ciascuno di non partirsi di brigata ma con piacere si diano a cercare e vedere le nobiltà di Napoli fine a l’ora del desnare; e dapoi tutti si riducano indel chiostro dello albergo, presso quine, u’ trovonno cedri aranci e di tutti odoriferi frutti, con una rivieretta d’acqua chiarissima e l’erbe fresche, pieni li arbuscelli di ugellini di più maniere; là u’ volse che l’altore desse con belle novelle piacere alla brigata mentre che non si danzerà, o vero che si cantasse.
E questo comandamento fatto, ognuno alla cerca si misse fine all’ora del desnare. E tornati, le mense poste, le vivande buone, con piacere desnarono; e con una danzetta, innel chiostro o vero giardino se n’andarono e quine per comandamento del preposto a sedere si puoseno. E fatto fare silenzio, l’altore disse:
DE VIDUA LIBIDINOSA
Delle salsicce adoperate per monna Orsarella vedova
da Firenze.
Poi che giunti siamo in questa città dove gran diletti di tutte cose si prende e massimamente di femine, e’ mi occorre una novelletta di racontare, la qual’è: in Firenze fu una giovana delli Strozzi, vedua, nomata madonna Orsarella, la quale, essendo di pogo tempo rimasa vedova d’un suo marito, è convenuta ritornare a casa d’un suo fratello nomato Matteozzo Strozzi, il quale avea una giovanetta di moglie assai piacevole chiamata Anna, faccendo insieme una famiglia; et a una mensa mangiavano e tutte cose acomunecavano innella vita, salvo che Orsarella in una camera sola per sé si dormìa vivendo onestamente.
Et essendo Matteozzo vago di salsicce, se ne fe’ a uno beccaio fare alquante in morselli d’un palmo e più, assai grosse e fine, e quelle ne mandò a casa comandando che, fine che durano, ogni dì se ne cuoca un pezzo. Et apiccate quelle salsicce, com’è d’usanza, in una parete della casa, vedendo madonna Orsarella quelle salsicce, ricordandosi del marito che quasi simile di forma avea quell’ugello che più volte riposto avea, pensò con alcuni de’ pezzi della salsiccia contentar la bocca stata di pasto digiuna più tempo. E con alquanti di quelli si dava piacere intanto che, maginando col marito essere, tenendo li occhi chiusi e in mano la salsiccia, fornìa il suo piacere. E per questo modo quasi ogni di più d’un pezzo di salsiccia logorava. E non molti giorni durava la salsiccia comperata per Matteozzo che la fante li dicea che delle salsicce comprasse. Matteozzo, che vago n’era, dell’altre simili a quelle comprava, et Orsarella di continuo con quelle si pascea del disiato apetito. E parendo a Matteozzo le salsicce logorare più che non si solea, pensò fra sé che la fante le desse a chichesia, o vero che da se medesma le mangiasse, diliberando innomerare li pezzi per sapere quanti di durano.
Et ito alla taverna, fe’ conto per uno mese xxiiii pezzi vastare et anco d’avanzo. E senz’altro dire steo atento di inomerare ciascun pezzo che innanti li venìa. E’ cominciò a nomerare et Orsarella di quelle al suo mestieri adoperava, intanto che non fu passato il mezzo mese che la fante disse: «Matteozzo, comprate delle salsicce, che non ce n’ha se non per una volta». Matteozzo, meravigliandosi molto, pensò per certo vedere chi quelle salsicce toccava.
E senz’altro dire, delle salsicce comprò; e postosi a vedere se la fante le toccava, trovò che non era quella che le salsicce logorava. Apresso steo a vedere se la donna sua quelle toccava: similmentre trovò non toccare. E dandosi a vedere quello che Orsarella facea, trovò che Orsarella ne prendea ii pezzi e con quelli n’andava in camera. Matteozzo di secreto si puone alla camera credendo che Orsarella le mangiasse. E vedendo in camera non esser fuoco, disse fra sé medesmo: «Mangerebe<le> crude?» E ponendosi a vedere, vidde Orsarella distendersi in su uno lettuccio, et alzatasi li panni dinanti a tutta scopertasi fine al corpo, chiudendo li occhi un pezzo di salsiccia innella grignapapola si misse, e colla mano menandolo, per tal modo che Orsarella, avendo messo la posta, il suo gittò in pari. E così vidde ii volte mettere e cavare. Matteozzo, che ciò ha veduto, disse: «Non meraviglia che le salsicce mancavano, a dire che Orsarella in uno boccone ne inghiotte un pezzo!» E partitosi, pensò di vergognare Orsarella.
E stando la sera a taula, Matteozzo dice alla fante: «Domattina cuoce un pezzo di salsiccia, ma fà che non sia di quelle che Orsarella si mette innella grignapapola; che non era meraviglia se ogni di mancavano, a dire che ella in un boccone <la salsiccia> cruda innella bocca senza denti si mettea». Orsarella, che ode quello che fatto avea esser saputo, disse: «O Matteozzo, pensi tu che io non abbia desiderio de l’uomo come la donna tua? E dìcoti che le salsicce per me logorate è stato cagione di preservare il tuo onore: ché se tali salsicce non avessero alquanto metigato la rabbia della bocca senza denti, io l’arei dato tal boccone a prendere che poga fatica arei auto a la mano, che senza adoperarvi mia mano sarei ben contenta. E pertanto ti dico: o tu mi consenti le salsicce, ben che poco frutto faccino, o tu mi dà nuovo marito». Matteozzo, che ode la rabbia della sorella, per non ricever magior danno né vergogna, la maritò. Et ella senza salsicce in parte contentò l’apetito suo canino. E Matteozzo piú salsicce comprar non volse perché in sdegno l’erano venute.
Ex.º lxx.