Novelle (Bandello, 1910)/Parte IV/Novella XII
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IL BANDELLO
a l’illustrissimo e riverendissimo signore
il signore
federico sanseverino
cardinale de la santa romana Chiesa
salute
Il giudeo, che per opera vostra, signor mio osservandissimo, questi giorni fu battezzato, diceva essersi a la fede nostra convertito, perché vide uno sacerdote con il glorioso nome del signor nostro messer Giesu Cristo aver liberato uno’ povero uomo, che da una legione di demòni lungo tempo era stato oppresso. Onde tra sé considerando questo sacro nome di Giesu, che li giudei cosí disprezzano, essere di tanta vertú, conchiuse ne l’animo suo che li giudei sono in grandissimo errore e tutti perduti, e che in effetto la vera fede è la cristiana; onde, come ha fatto, determinò farsi cristiano. E ragionandosi de la conversione di cotesto ebreo in una onorata compagnia ove io mi ritrovai, assai cose de la vertú di questo sacratissimo nome di Giesu furono dette, al cui suono si inchinano tutti gli spiriti del cielo e gli uomini de la terra, e parimente gli abitatori de 10 inferno, li quali, udendolo nominare, tremano come foglia al vento. Da questo si venne a dire di alcuni miracoli, che con questo salutifero nome fatti si sono, e che si è veduto assai sovente li miracoli avere convertito molti infedeli e li malviventi ridutti a vivere onestissimamente. Era in quella onesta brigata 11 gentilissimo e dotto giovane messer Camillo Gulino, il quale, a proposito de li miracoli che dagli infedeli si vedeno e quelli convertisseno a la vera fede, narrò una mirabile e bella istorietta, la quale fu da me descritta. E pensando io cui, secondo il mio consueto, donare la devessi, voi mi occorreste. Il perché, avendo i88 PARTE QUARTA voi fatto battezzare l’ebreo, che per uno miracolo si è convertito a lasciar il giudaismo e farsi cristiano, non mi pare punto disconvenevole che questa istoria, la quale contiene che per uno miracolo il re de li tartari si battezzò, al nome vostro si veggia intitolata. Accettatela adunque, signor mio umanissimo, con quella vostra singolare umanità, che tutte le cose a voi offerte séte solito accettare. Resterà a tutti quei che dopo noi verranno per fermo testimonio de la fedele e antica servitù di tutta la casa Bandella verso la felicissima memoria del famoso capitano vostro onorato padre, il signor Roberto Sanseverino, e tutti voi, suoi illustrissimi figliuoli. State sano. NOVELLA XII (XIII) Cassano re de la Tarlarla veggendo uno manifesto miracolo si converte con tutti li suoi a la fede cristiana. Per quello che io già, signori miei, udii predicare a uno de li frati di san Domenico nel loro venerabile loco de la Rosa, non si devemo meravigliare se a li tempi nostri non veggiamo farsi tanti miracoli quanti nel principio de la nascente fede dagli apostoli e altri santi si vedeano fare. E questa essere la cagione diceva: perché allora bisognava, per convertire a la fede gli infedeli, con li miracoli tirarli, e mostrar a tutte le nazioni, che sotto il cielo viveno, che in nome di altro dio che da infedeli si adori — perché li dèi de le genti sono demòni, — non si ponno far miracoli, se non col nome e vertute del Padre, del Figliuolo e de Io Spirito Santo. Ora che la fede è fondata e fermata col prezioso sangue del salvatore del mondo, Cristo Giesu benedetto, e col testimonio di tanti martiri e tanti santi, non sono più li miracoli necessari, ancor che sovente molti se ne facciano. Cosi predicava il riverendo padre. Il perché, non mi discostando da la materia di essi miracoli, io vuo’ narrarvene uno meraviglioso, che fu cagione di convertire a la vera fede l’imperadore de la Tartaria con li suoi popoli. Vi dico adunque che Cassano, figliuolo che fu di Argone Cane impe- radore di Tartaria, successe a suo padre ne lo imperio e fu NOVELLA XII (XIII) molto da li suoi tartari amato e ubedito. Veggendosi egli ne la sedia imperiale con amore grandissimo de li suoi popoli, e udendo dire gran cose di una figliuola del re de l’Armenia, che in que’ tempi era generalmente lodata per la più bella giovane che si potesse vedere, come uomo che per fama si innamora, si forte de le bellezze di quella si accese che si deliberò averla per moglie. Onde, fatta cotale deliberazione, essendosi consigliato con li suoi baroni e a tutti piacendo il volere del loro re e imperadore, mandò a lo re d’Armenia una solenne ambasciaria a chiederli la sua figliuola per moglie. Il re, udita l’ambasciata, si trovò molto di mala voglia, conoscendo sua figliuola, che Catarina per nome si chiamava, essere buona e divota cristiana e il tartaro essere infedele e idolatra. Da l’altra banda, veggendo le affettuose e caldissime preghiere che gli ambascia- tori li faceano, dubitò che, non compiacendo loro, il tartaro, sdegnato, non mandasse uno esercito a li danni e destruzione de l’Armenia. Ma prima che si risolvesse a dar loro risoluta risposta, conferì la dimanda del tartaro con la figliuola e il periglio che sovrastava se a quella non si compiaceva. Catarina, stata alquanto sovra di sé tutta pensosa, in questo modo al padre rispose: — Padre e signore mio osservandissimo, prima che mai essere cagione di nessuno menomissimo despiacere o danno a te o al tuo reame, io vorrei più tosto morire o non essere nata già mai. Perciò io consentirò di prendere per marito questo tartaro, mentre però che vi intravenga una sola condizione, che sarà: che io possa con li miei, che verranno per miei servigi a star meco, vivere e osservare la mia legge cristiana. Nel resto poi io li sarò ubedientissima moglie e serva. — Piacque al padre la saggia risposta de la figliuola, e seco conchiuse ella medesima fosse quella che risolvesse gli ambasciatori de l’animo suo. Intro- dutti che furono li tartari nel cospetto de la reale giovane, fattale la debita riverenza, restarono a la vista de la incredibile e meravigliosa bellezza di lei di tal modo stupefatti e pieni di estrema ammirazione, che non bellezza mortale vedere si invaginavano, ma credevano essere dinanzi a uno angelo del cielo. Le fecero poi intendere quanto il loro imperadore ricercava, come di PARTE QUARTA già ella deveva dal re suo padre essere a pieno informata. Allora la reale donzella molto leggiadramente con accommodate parole fece loro aperta la volontà sua. Udita gli ambasciatori che ebbero la risposta, dissero che del tutto a l’imperadore dariano per messo a posta aviso, e che portavano ferma ope- nione che egli di quanto ella ricercava intieramente la compiacerebbe. Onde tutti in conformità al loro signore scrissero ciò che la giovane ricercava. Poi largamente con molte parole lo avertirono de la indicibile e veramente suprema beltà, leggiadria, bei modi e cortesia di quella. L’imperadore tartaro, letta la lettera, si senti infinitamente accrescere il desiderio di avere la tanto lodata giovanetta, e fece scrivere uno ampissimo decreto, sottoscritto di sua mano propria e del suggello imperiale suggellato, dove confermava molto largamente tutto quello che la sua futura sposa dimandava. Uno altro poi decreto mandò a uno degli ambasciatori, cui dava autorità di poter sposare in nome di esso imperadore la detta giovane. Cosi furono celebrate con grande solennità le sponsalizie e condutta la sposa in Tartaria, onoratissimamente accompagnata. Ella, oltra li baroni che il re suo padre mandò per accompagnarla, menò con lei alcuni sacerdoti armeni e altri uomini e donne de li suoi, che devevano rimanere seco. Ella giunta ove era l’imperadore, fu da quello amorevolissimamente raccolta e come legittima im- peradrice onorata. Restò esso imperadore senza fine meravigliosamente sodisfatto, e in poco di tempo ella si bene e con tanta umanitade e gentilezza si diportò, che appo tutti quei popoli venne in grandissimo credito, e generalemente era da tutti amata e riverita. E grandi e piccioli universalmente lodavano l'avedimento del loro signore, che si bene aveva saputo provedersi di cosi cara moglie. Non istette molto ella col marito, che si ingravidò con grandissimo contento di tutto il suo imperio, che ne dimostrò allegrezza infinita. Ora, come piacque a nostro signore Iddio, che dal male sa eleggere il bene, al debito tempo de la sua pregnezza ella partorì uno figliuolo di cosi strana e più che brutta effigie, che più a fiera e orrendo mostro rassembrava che a criatura umana. Onde restando e li NOVELLA XII (XIII) 191 cristiani, che condutti seco avea, smarriti, e ella fora di misura dolente, era in tutta la corte uno infinito bisbiglio e uno apertissimo e grande mormorio di cosi mostruoso parto, e ciascuno il biasimava. Lo imperadore, ancora che la moglie ardentemente amasse, intrato in una fiera gelosia che' quella avesse commesso adulterio, cangiò l’amore in acerbissimo odio; onde insieme con li consiglieri suoi la condannò, con la nata criatura, al fuoco. Il che doleva molto a tutto il popolo, tale era la ope- nione che de la sua vertù si aveva. Veggendo la tribolata e afflitta imperadrice che nessuna sua iscusazione era accettata, si dispose pazientemente a patire il fuoco e ricevere in grado la morte. Fece poi supplicare al marito, che lasciasse che si potesse confessare e far dare a la nata criatura il battesimo, il che il tartaro di leggiero le concesse. Fatto adunque ella venire il suo sacerdote, si confessò e prese il sacratissimo corpo del Salvatore nostro con grandissima divozione. Volendo poi, in una chiesa che ella aveva fatto fabricare, che si désse il battesimo a la sua criatura, l’imperadore con li suoi volle che su la piazza, per non intrare egli in chiesa e per vedere la cerimonia del battesimo, che quello a la criatura si désse. Come il battesimo a quella criatura fu dato, subito a la presenza de l’imperadore e baroni e di tutto il popolo, quella cosi mostruosa e brutta criatura fu miracolosamente trasformata in uno bellissimo figliuolo e più grazioso di tutto quello imperio, rappresentante molte fattezze del padre; onde tutto il popolo cominciò a gridare che la imperadrice ingiustamente era condennata. Cassano, li suoi baroni e quanti erano presenti, veduto tanto manifesto miracolo, si convertirono a la fede di Cristo ed ebbero il battesimo. L’imperadrice col figliuolo fu da Cassano con infinito piacere ritornata nel pristino grado. Questo è quello Cassano, che al tempo di Bonifacio ottavo, con l’aiuto del suocero re de l’Armenia e del re di Georgia, venne con grossissima gente contra Melesain soldano di Egitto, e con mortalità grande di sarraceni lo cacciò de l’Egitto, liberò Gierusalem dagl’infedeli e devotissimamente visitò il santo sepolcro; e mandò una onorevole ambasciaria al papa e al re di Francia, ché 192 PARTE QUARTA mandassero gente in Soria a guardare quelli paesi, perché egli non poteva lungamente colà dimorare, essendoli mossa guerra in Tartaria. Ma papa Bonifacio attendeva con ogni sforzo cacciare Colonnesi e tutti li gibellini fora del mondo, e Filippo Bello re di Francia, iscommunicato da esso Bonifacio, facea ogni cosa per levarlo dal papato. Mori Bonifacio e li successe Benedetto undecimo, ma campò si pochi mesi, che non puoté, come avea deliberato, fare l’impresa de la Terra Santa; di modo che poi, tornato Cassano in Tartaria, li sarraceni ricuperarono tutti li luoghi perduti con vituperio eterno del nome cristiano.