Novelle (Bandello, 1910)/Parte IV/Novella XI

Novella XI - Francesco da Carrara, signore di Padova, si innamora di una sua cittadina, e la gode La moglie di Francesco se ne avvede, e il dice al marito della innamorata del signore; e con lui accordata, amorosamente si godono

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Novella XI - Francesco da Carrara, signore di Padova, si innamora di una sua cittadina, e la gode La moglie di Francesco se ne avvede, e il dice al marito della innamorata del signore; e con lui accordata, amorosamente si godono
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IL BANDELLO

al magnifico e valoroso cavaliere

il signor

benedetto mondolfo

salute


Era questi di la incomparabile eroina, la signora Elisabetta Gonzaga, giá consorte de la buona memoria del duca Guido Ubaldo di Urbino, alquanto del corpo indisposta; onde, essendo io andato a visitarla, trovai seco la individua sua cognata e compagna, la signora Emilia Pia. E di varie cose insieme ragionando, sowraveniste voi con il dotto e nobilissimo messer Gian Giorgio Trissino, patrizio vicentino, che portò una lettera de la signora Margarita Pia e Sanseverina a la detta signora Emilia sua sorella. Fu il Trissino da la signora duchessa graziosamente raccolto. Indi si intrò a ragionare, non so come, de le tirannie e sconcie cose che Cesare Borgia usò in quel tempo che soggiogò la Romagna e la Marca; e si disse di tante morti quante egli col mezzo del suo crudele ministro Michelotto facea fare, strangolando tanti signori, ben che a la fine esso Michelotto spagnuolo fu in Milano in certa mischia morto, dicendosi che lo scelerato manigoldo avea fatto troppo bella morte, meritando publicamente per mano di boia par suo essere smembrato a brano a brano e dato per cibo a’ cani. La signora duchessa allora, non potendo a grande pena le lagrime contenere, rammemorò, quando tra Arimini e Cesena esso Borgia fece rapire una sua criata, che ella mandava a marito al capitano Carrazio, cui maritata l’avea, come esso Michelotto era capo de la cavalcata e fu cagione di fare morire molte persone di quelle che la sposa a Ravenna, ove il Carrazio avea le stanze, accompagnavano. Molte cose si dissero de le enormi e fierissime crudeltati di esso Cesare Borgia, nominato il duca Valentino, il quale non solamente negli [p. 184 modifica]i$4 PARTE QUARTA stranieri ma nel proprio fratello fu fratricida immanissimo. E tuttavia de le sue infami sceleratezze ragionandosi, messere Gioan Giorgio, in conformità di quanto si diceva, narrò uno altro simile caso da uno perfidissimo tiranno perpetrato, il quale tutti empi di stupore e insieme di pietà. La signora Emilia, come il Trissino fu de la sua novella deliberato, rivoltata a me, mi disse: — Bandello, in vero questo tirannico e abominabile caso punto non disconverrà tra le tue novelle. — Onde, avendolo descritto, in testimonio de la mutua amicizia che tra noi è, ve lo dono e al nome vostro consacro, pregandovi a farlo vedere al nostro gentilissimo signore Angelo dal Bufalo. State sano, e ricordatevi spesso che, come dicevamo questi di a proposito di quello amico, che cosi come nostro signore Iddio guiderdona le buone e sante opere, parimente anco gastiga coloro che operano le sconcie cose. Di novo state sano. NOVELLA XI (XII) Eccelino primo da Romano, cognominato Balbo, rapisce una giovane promessa a uno suo nipote, onde grandissimi incendi, morti di uomini e roina di molte castella ne seguirono. Le cose che dette si sono de le ferine crudeltati del Valentino, il quale non seppe né volle seguire la sua buona fortuna che levato l’avea al sommo grado del cardinalato, mi fanno confermare ne l'openione mia, che rade volte questi, che cosi si dilettano spargere il sangue umano, non roinino e muoiano miserabilmente, come si sa che a esso Valentino nel regno de la Navarra avenne, ove miseramente fu morto. Soleva egli molte fiate dire, e alludendo al nome di Cesare dittatore, perché egli Cesare si chiamava, avere questo motto in bocca: — O Cesare, o nulla. — Onde ingeniosamente fu da uno poeta di lui cantato : — Cesare Borgia gridava sino al cielo : o Cesare o nulla. Non poté diventar Cesare, ma ben poté essere nulla. — Mi ha anco la rapina fatta ne la criata di madama la duchessa fatto sovenire di una altra rapina fatta in una sposa, cagione poi essa rapina di infiniti mali, come intenderete, ché non ci [p. 185 modifica]NOVELLA XI (XII) essendo ora altro dire, io l’istoria vi narrerò. Si legge negli annali de la nobilissima città di Padova, che io altre volte lessi in casa del nobilissimo messer Antonio Capodivacca, patrizio padoano, che tra li signori di Romano, castello ne la Marca Trivigiana che Ottone terzo imperadore donò a Alberico di Sassonia suo soldato, furono tre Eccelini, discesi da esso Alberico, de li quali il primo, per essere alquanto de la lingua balbuziente, fu chiamato Eccelino Balbo. Costui ebbe uno figliuolo nominato pure Eccelino, ma per cognome appellato il Monaco. Ora avvenne che Gerardo Camposampietro, giovane nobilissimo e primario tra la gioventù de la città padovana, trattava di prendere per moglie una nobilissima e ricchissima giovane, che per dote portava seco una amplissima eredità; ed essendo figliuolo di una carnale sorella di Eccelino il Balbo, communicò al zio questa sua prattica, e quella con li parenti de la giovanetta, che Cecilia Baonia aveva nome, conchiuse. Ma il Balbo, poco amorevole al nepote, tirato da la ingordigia de la ricca eredità, come uomo avarissimo che era, rapi con inganno e violenza essa Cecilia, e quella maritò subito a Eccelino cognominato il Monaco suo figliuolo. Di cosi inumana e perfidiosa ingiuria offeso Gerardo e fieramente in còlerà salito, la riverenza e amore che al zio e al cugino portava, converti in mortalissimo e fora di misura crudelissimo odio, e giorno e notte in altro non pensava, che in trovar la via di potersi altamente di tanta ingiuria vendicare, parendogli a modo nessuno poter vivere né la vista e luce degli uomini sofferire, se qualche gravissimo scorno a li nemici suoi non faceva. Ebro adunque di una estrema ira e ingombrato da la dolcezza che sperava sentire se si vendicava, mentre su questi pensieri era tutto intento, conculcata e tratta dopo le spalle la ragione, in preda miseramente a l’appetito de la vendetta si diede, di maniera che non era cosa al mondo, per scelerata che fosse, che non li paresse onesta, pur che si potesse in parte vendicare. E cosi a tutti gli iracondi aviene, che le proprie passioni non sanno moderare, e a ciascuno sempre avenirà, che voglia li male regolati appetiti seguire. Ora, dopo che Cecilia aveva le nozze celebrato con Eccelino lo Monaco. [p. 186 modifica]PARTE QUARTA ebbe Gerardo, che in ogni occasione di vendicarsi stava intento, ebbe, dico, da una spia aviso, come ella era per andare a li bagni di Abano. II perché, messo a ordine una compagnia di scelti e valorosi giovani bene armati, andò ad incontrare quelli che Cecilia a li bagni accompagnavano ; e animosamente con impressione grandissima gli assali e per viva forza la donna li rapi. Come l’ebbe in suo potere, lei, gridante mercé e dimandante aita e soccorso, nel mezzo de la publica strada sforzò; e carnalemente di quella prese piacere, non per appetito già di libidine, ma per dispregio degli Eccelini padre e figliuolo, zio e cugino. Questo abominabile fatto di modo irritò e commosse il Balbo e il Monaco Eccelino contra la città padoana, veggendo che in conto nessuno non si erano messi essi padoani a punire cosi grave eccesso da Gerardo commesso, che, prese le armi e cominciato insieme a guerreggiare, diedero principio a una crudelissima guerra e a la distruzione di quasi tutta la provincia de la Marca trivigiana, che oltra il danno di molte di quelle nobilissime città, più di cento popolose ville e castella del paese lungamente afflitte e conquassate, quasi distrutte e sino a’ fondamenti roinate restarono. Oltra questo vi si accrebbe, che Cecilia, ben che incorrotta di animo, nondimeno violata di corpo, fu dal marito repudiata e resa a li propinqui suoi. Il Monaco, poi che ebbe mandata via Cecilia, sposò Aldeida, de la nobile schiatta in Toscana de li Mangoni, allora ne le alpi de l’Apennino molto illustre e potente. Da questo, non so se lo appelli matrimonio, vivendo ancora Cecilia, che era vera moglie, o lo dica adulterio, nacque dentro il ventre de la Aldeida, o vi fu generato, lo soperbo e sceleratissimo terzo Eccelino, che fu la roina di molte città e massimamente di Padoa. Egli in Verona in uno giorno fece tagliar a pezzi con inaudita crudeltà, avendo inteso che Padoa si era rubellata, dodeci millia padoani, che seco avea per ostaggi. E in vero egli fu uno nefandissimo tiranno, che di crudeltà di gran lunga avanzò Falari, Mezenzio, li Dionisi, Caio, Nerone e quanti mai più crudeli tiranni si fossero; e per avere suo padre ricevuta la ingiuria ne la prima moglie da Gerardo, egli sempre ebbe in odio tutti i padoani.