Novelle (Bandello, 1853, II)/Parte II/Novella XII

Novella XII - Il marito, trovata la moglie in adulterio, fa che impicca l’adultero; e quella fa sempre in quella camera restare, ove l’amante era impiccato
Parte II - Novella XI Parte II - Novella XIII

[p. 295 modifica]

Quanto siano grandi e perigliose le passioni de l’amore che in delicato e molle petto fondano le lor radici, oltra che tutti gli scrittori con molte ragioni mostrino quanti mali ne seguano, si vede molto meglio tutto il dì per i varii effetti di morti ed altri danni che ci nascono, che tutti procedono perchè l’uomo non sa amare, ma a poco a poco si lascia da un fuggitivo piacer velar gli occhi e talmente dal concupiscibile appetito trasportare che volendo poi ripigliar il freno de la ragione e voltarsi a dietro, ha assai che fare e il più de le volte si vede andar in rovina. Chè se l’uomo come si sente al senso inviluppare adoperassi gli occhiali de la ragione, egli più perfettamente amarebbe, e nel regno d’amore non si sentirebbero tanti pianti, tanti lamenti, tanti sospiri, tante strida e tante querele, ed Amore che vien chiamato fiero, crudele, spietato e traditore, si vedria esser mansueto, piacevole, pio, fedele e di tutte le vertù ornato. Ma perchè più e più fiate s’è de le pazzie che questi sciocchi innamorati fanno parlato, e tutti i libri di tutte le lingue pieni ne sono, per ora non intendo altrimenti parlarne. Tuttavia volendo io, come debbo, qualche cosa mandarvi per gratitudine de le molte vostre da me ricevute cortesie, una novella che in queste contrade avvenne e da me fu non è molto scritta, vi mando, la quale messer Gian Antonio Gribaldo Muffa gentiluomo di Chieri, essendo in Pinarolo, a la presenza de l’illustrissimo signor Cesare Fregoso luogotenente generale di Sua Maestà cristianissima e di molti altri signori e capitani narrò. Qui per prova si vederà a quanti inconvenienti amore mal regolato meni chi lo segue, ed ancora che tutto il dì si veggiano di questi strabocchevoli casi avvenire, nondimeno molti che non metteno mente a ciò che si facciano, spesso dentro v’incappano. State sano. [p. 296 modifica]

Il marito trovata la moglie in adulterio fa che impicca l’adultero e quella fa sempre in quella camera restare ove l’amante era impiccato.


Avete veduto, valoroso signore, esser quasi general costume di tutti i gentiluomini nostri di Piemonte lasciar le città e le grosse terre ed abitar a le lor castella di che il paese è molto pieno, perciò che pochi gentiluomini vi si trovano che non abbiano o in campagna o per questi fruttiferi colli e ne l’amenissime ed abbondanti valli che molte ci sono, qualche castello. E se voi, signor mio, fossi venuto in questo paese prima che la guerra si facesse, avereste veduto tanta nobiltà e tanti bei luoghi e tanta fertilità ed abbondanza e delicatezza del vivere, che forse forse in tutta Italia non è contrada che sormonti questa parte. Taccio la domestichezza del conversar insieme e le tante cortesie che in tutti i luoghi di Piemonte ai forestieri s’usavano, che certo era cosa mirabile a vedere. Ora la guerra ha guasto il tutto, e tutte le belle e buone consuetudini si son poste da canto. Si spera perciò che tra il gran re cristianissimo e monsignor il duca di Savoia debbia succeder buona pace, il che seguendo, potrebbe anco tornar il nostro paese com’era prima. Ora per dir quanto di narrarvi ho promesso, dico che nel tempo che madama Margarita d’Austria figliuola di Massimigliano Cesare venne in Savoia a marito, fu in una parte di Piemonte un nobile e valoroso gentiluomo il cui nome mi taccio, il quale castella e vassalli aveva sotto di sè, e la più parte del tempo dimorava in corte, perciò che egli era uomo di gran conseglio e vedere, e il duca faceva non picciola stima di lui. Egli aveva preso per moglie una gentildonna del paese, la quale ben che non fosse la più bella del mondo, era nondimeno assai appariscente e poteva fra l’altre stare. E in quello che mancava di bellezza ella suppliva con la vivacità d’ingegno, con bei costumi, con leggiadri modi, con accoglienze gratissime, con la prontezza de le parole e con mille altre belle maniere. Era poi avvista e scaltrita pur assai e quella che vestiva meglio che donna di Piemonte, non tanto in portar ricche vestimenta di che era copiosa e ben fornita, quanto che sapeva troppo ben accomodar ogni abbigliamento ancor che di panno vile fosse stato. Il marito che era uomo grave e da bene, sommamente l’amava e teneva cara. Aveva già avuti dui figliuoli da lei che erano assai grandicelli. Egli era pur vicino ai sessantatrè [p. 297 modifica]anni e forse gli passava, e la moglie poteva averne circa trentacinque; onde non contenta degli abbracciamenti del marito ed avendone gran carestia, perchè il più del tempo egli stava ove era il duca che il più de l’anno dimorava in Savoia, gittò gli occhi a dosso ad un giovine vassallo del marito e di lui fieramente s’innamorò. Praticava costui tutto il dì dentro il castello ove la donna dimorava, e seco a scacchi, a tavola e talora a le carte giocava e molto domesticamente di giorno e notte soleva andarvi. Il marito che niente aveva del geloso, quando era con la moglie, a cosa che ella si facesse non metteva mente, e tanto più quanto che, come sapete, in queste nostre bande usano le nostre donne grandissima domestichezza con gli uomini in ogni luogo, e il basciare le nostre mogli a la presenza nostra non si disdice anzi è lecito ed onesto, perciò che se un gentiluomo viene a casa nostra, riputaremo che ne facesse ingiuria quando non degnasse basciar moglie e figliuole e sorelle e quante donne sono in casa, le quali basciando teniamo per favor grandissimo. Così per l’ordinario se vediamo le nostre donne parlar con uno di segreto, non le garriamo nè è reputato male, come tra voi lombardi subito sarebbe preso in mala parte, perciò che tale è la costuma del paese. Praticando, come è detto, il giovine molto famigliarmente con la donna, di leggero s’accorse che ella era di lui oltra misura accesa. E reputandosi non poca ventura esser da così gentile ed alta donna amato, col petto aperto, senza considerar il danno che avvenir gliene poteva, ricevette le amorose fiamme e cominciò ferventemente amarla; onde non passarono molti dì che amandosi tutti dui, si discoprirono insieme i lor amori. Nè dopo questo stettero molto che essendo le lor voglie piegate ad un medesimo fine, vennero a le strette pratiche, e tanto innanzi s’assicurarono che presero l’uno e l’altro amorosamente il frutto del lor amore. Il che tanto a tutti dui fu di piacere che altro più non desiavano che ritrovarsi' 'spesse fiate insieme. E fu loro la fortuna così favorevole che gli venne fatto di ritrovarsi bene spesso a goder l’un l’altro. Ma meno discretamente usando questa loro domestichezza e da troppo amor accecati, cominciarono a prender troppa sicurtà dei servidori di casa e far de le cose in publico che non stavano troppo bene. Da questo nacque che molti di casa entrarono in sospetto di questa pratica e tennero per fermo che la madonna fosse del giovine divenuta amica e seco amorosamente si trastullasse, ben che nessuno ardisse di dirle parola e meno erano osi d’avvisar il marito, il quale de la moglie troppo fidandosi non averebbe [p. 298 modifica]a persona creduto che ella avesse mai fatto tanto fallo. Ora avvenne che essendo il marito venuto di Savoia a casa nel principio del mese di luglio, che egli un giorno si mise ad una finestra de la sua camera che guardava sovra un bellissimo giardino che era fuor de la ròcca. La donna col suo amante di poco avanti cena se n’andò nel giardino per lo sportello del soccorso, e quivi sotto un pergolato seco passeggiando, non credendo esser da persona visti, più volte amorosamente lo basciò, e il giovine due e tre fiate le pose le mani in seno toccandole amorosamente le poppe e seco lascivamente senza rispetto veruno scherzando. Vide il marito da la finestra tutti quegli atti disonesti e fieramente se ne turbò, entrando in còlera grandissima; ma come quello che era prudentissimo, dissimulò lo sdegno che aveva, deliberando tra se stesso, come proverbialmente si dice, di pigliar la lepre col carro. Onde essendo le tavole messe e la cena ad ordine, cenò di compagnia, mostrandosi più de l’usato allegro e di molte carezze al giovine facendo; e il tutto egli faceva per meglio chiarirsi del disonesto amore de la sua donna. Cominciò adunque diligentemente gli atti loro, i cenni, le parole ed ogni movimento ad osservare, e a tutto ciò che facevano por gli occhi e spiar ogni lor azione, onde senza troppa difficultà s’avvide che la moglie ad altro papero che al suo dava da beccare. Nondimeno egli fu così costante e sì saggiamente si governò che nulla mai di questo a la moglie disse nè al giovine mostrò tristo viso già mai; anzi come soleva far per innanzi perseverava, a ciò che più gli assicurasse e gli potesse cogliere sul fatto. Il perchè gli amanti non pensando essere spiati, andavano dietro a buon giuoco ai lor amori, ma per esser in casa il padrone, con grandissima difficultà potevano sfogar amorosamente i lor disiri. Ora avvenne, del mese di settembre, che il duca di Savoia si ritrovò in Turino e per alcuni affari mandò a chiamar il marito di cotesta donna. Egli alora si pensò esser venuta l’occasione di coglier a l’improviso il gallo e la gallina su l’ova. Ordinò adunque che tutta la famiglia il dì seguente montasse a cavallo e andasse a la volta di Turino, ed egli solamente seco ritenne un suo cancegliero di cui molto si fidava. Domandato da la donna a che fine egli facesse questo, così le disse: – Moglie mia, io vo’ che domatina a buon’ora tutti si partano e vadano verso la corte. Io starò qui per tutto dimane, e dopo cena col cancegliero me n’anderò in posta che già ho fatto proveder di cavalli, chè ancora che siamo di settembre a me pare che il giorno faccia grandissimo caldo. Noi correremo la notte che luce la luna e [p. 299 modifica]non sentiremo caldo nessuno. – La povera moglie che altro inganno nè malizia non pensava, gli lodò molto questo suo pensiero e da l’altra banda diede ordine al suo amante che quella notte l’attenderebbe; il che a l’amante sommamente fu caro, essendo già molti dì che con la sua donna non era giaciuto. Cenarono tutti di brigata sul tardi. Egli dopo cena chiamata la moglie l’ordinò molte cose che ella facesse fare, mostrando che starebbe qualche giorno che non tornarebbe, e per meglio assicurar il tutto, diede anco alquante commissioni al giovine amante de la moglie. Cominciando poi ad imbrunirsi la notte, montò a cavallo col cancegliero, e non cavalcò un miglio che si fermò ad un suo luogo ove aveva una bellissima' 'possessione, e quivi stette circa due ore. Dapoi rimontato a cavallo se ne ritornò al suo castello, che potevano essere circa le quattr’ore di notte, e fu dal castellano a cui egli la commissione segretissimamente lasciata aveva, dentro senza romore intromesso. Fatto questo, fe’ chetamente, avendo già al tutto fatta la conveniente provigione, armar il castellano e il cancegliero, e con la spada in mano se n’andò verso la camera ov’era la moglie. Aveva ne la mano sinistra il cancegliero un torchietto acceso. Giunti a la camera, fece che il castellano picchiò a l’uscio e disse che erano venute lettere del padrone. Fece la donna levar de la lettiera da basso una vecchia che era consapevole del tutto, e le disse che non lasciasse entrar il castellano, ma che si facesse dar le lettere. Venne la donna ed aperse l’uscio, a la quale fingendo sporger le lettere, il castellano diede con le mani nel petto e quella riversone fece cadere. In questo tutti tre con le spade nude entrarono in camera e trovarono gli infelici amanti nudi nel letto, che avevano giocato a le braccia, e a la donna per esser debole di calcagna era toccato lo star di sotto. Furono tutti dui subito presi e la cameriera anco ella fu pigliata. Pensi ciascuno di che animo devevano esser i tre prigionieri trovati in simil fallo: essi non ardirono mai dir parola. Comandò il signor del luogo che si recasse una fune e volle che la misera moglie ad un chiodo che in una trave era lungo e grosso, impiccasse il suo amante. Fatto portar una scala, prese la donna la fune e quella, piangendo amarissimamente, al collo de l’amante annodò e salita su la scala ed al grosso chiodo quella attaccata, il povero e sfortunato amante strangolò. Fece poi levar di camera tutte quelle cose che dentro v’erano, e solamente in un cantone fe’ lasciar tanta paglia quanta a pena sarebbe bastata a dui cani per corcarsi. Poi disse a la moglie: – Donna, da che a l’onor [p. 300 modifica]mio e tuo non hai avuto riguardo ed hai un mio soggetto più di me amato, io vo’ che di continovo con lui dimori e che teco questa rea vecchia ruffiana se ne stia. Il perchè fuor di questo luogo mai più non uscirai. – Nè furono le parole vane. Egli fece di modo con crate di ferro conciar la finestra che impossibile era uscirne; poi fece murar l’uscio e vi lasciò solo un picciolo buco per il quale a le povere donne faceva dar pane ed acqua e non altro, lasciando la cura al castellano del tutto. Le sciagurate donne amaramente il lor fallo piangendo, chiuse restarono, ove guari non stettero che cominciando l’impiccato a putire, si sentiva così gran puzzo che tutto il mondo si sarebbe ammorbato. Or qual fusse la vita de la gentildonna pensilo ciascuno. Ella era del suo amante stata manigolda e quel fiero spettacolo dinanzi agli occhi mai sempre si vedeva, e giorno e notte l’intolerabil puzzo che da le marcite membra del giovine usciva, era astretta a soffrire. In questa così misera vita stette ella forse sei anni insieme con la sua vecchia. Infermandosi poi gravemente, il marito tutte due le fece cavar fuori e in una camera porre ove in breve la gentildonna morì. Ed il signore andar lasciò la vecchia ove più le piacque.


Il Bandello al molto illustre e valoroso signore il signor conte Guido Rangone del re cristianissimo luogotenente generale in italia e cavaliero de l’ordine di san Michele


La crudeltà più che barbara e ferina che questi giorni ne la presa di Carraglio usò Francesco Monsignore dei marchesi di Saluzzo, fu tale e tanta, quale e quanta non fu forse tra soldati cristiani usata già mai. Che se nel combattere in compagnia od in espugnar una terra o fortezza che si sia, in quel furore de l’entrar dentro, ciascuno che incontrato viene si svena ed è senza rispetto veruno morto, questo par che sia usanza generale de la milizia. Ma cessato quel furore del menar le mani, chi è sì fiero nemico che incrudelisca nei corpi morti o che quelli seppellire divieti? Per l’ordinario anco a chi per prigione si rende, suole la vita esser donata ed al reso è lecito con danari