Notizie della vita e degli scritti di Luigi Pezzoli/XIV. Volgarizzamento dei salmi
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XIV. VOLGARIZZAMENTO DEI SALMI.
Stimò possibile il Pezzoli innestare l’evangelica moderazione e pacatezza sopra il robusto tronco dell’antico patto, e in questo egli errò senza dubbio, dacchè altro è il carattere ne’ libri dell’antico testamento, altro in quelli del nuovo. Nel primo una religione che combatte e vuole, avendo negli occhi una terra di promissione, ove slacciare i calzari, e appendere alla parete il bastone da pellegrino; nel nuovo una religione che soffre e sì anche spera, ma non altrove che in cielo, e a cui tanto suona riposo e felicità, quanto sepolcro e vita futura. Quindi da un lato passioni animose ed operanti, dall’altro rassegnate e pazienti. Percuoti Amalec fino all’ultimo capo, nè l’ancella o il giumento sottraggansi alla tua spada; è questo il grido del profeta, che condanna la pietà dei regnanti, e minaccia eccidio per l’abusato profumo del sagrifizio: perdona al nemico, e, poich’egli ha cessato di batterti a destra, offriti a lui da sinistra; è questa la voce di chi non solve ma adempie la legge. La poesia biblica ha riscontro co’ principali fra gli antichi poeti; Omero nella sola santità ne discorda: il Vangelo, bisogna pur confessarlo, da soli pochi anni ha trovato in Alessandro Manzoni chi gli desse in Italia colore ed abito conveniente di poesia.
Tutti fatti a sembianza d’un solo,
Figli tutti d’un solo riscatto,
grida egli, anche dove gli abbominii di una guerra intestina rendevano poco meno che perdonabile la vendetta.
Che bell’onor s’acquista in far vendetta,
sclama Dante all’incontro, benchè autore d’un poema che s’intitola sacro, e a cui da molti si guarda come a trionfo della rettitudine.
L’intendimento pertanto di adattare ai salmi le forme di traduzione che sarebbero convenienti alla poesia evangelica, è, per le cose anzidette, di esecuzione, se non impossibile, certamente malagevolissima; e quand’anche ciò non fosse, il metodo seguito dal Pezzoli non può trovarsi molto opportuno. Di fatti nella traduzione di lui abbiamo talvolta sostituite alla originaria semplicità le leziosaggini e i fiorentinesmi de’ comici e dei novellatori; tal altra alla forte e concisa, ma sempre naturale esposizione de’ pensieri, le costruzioni più che recondite e le fogge più ardite della sintassi, che senza nobilitare il concetto difficultano l’intelligenza. Poco lo studio del costume, e soverchia la credenza, circa alle allusioni storiche e geografiche, ai farraginosi commentatori, che avendo per principale argomento delle loro interpretazioni il senso spirituale, non sono da seguire senza ponderato esame in ciò che non ha attinenza alla materia religiosa. Spiacemi dover convertire in accusa dell’amico mio una dimostrazione ch’egli mi diede di affetto, intromettendo il mio nome nelle divote canzoni; ma ciò ancora, oltre al resto, viene a corroborare quanto ho detto poco prima circa l’intendimento del traduttore. A dichiarare il disegno di lui mirano per la più parte le brevi prose da me poste innanzi a ciascuno dei salmi. Associandomi al Pezzoli in quella impresa, ben lungi che volesse egli solo incaricarsi della poesia, lasciando a me le spinosità del commento, come da taluno si scrisse, io stesso ho fatto cessione all’amico di quella parte di lavoro che sarebbe stata la mia, secondo aveva egli divisato a principio, e tutto mi ristrinsi alle annotazioni, accorgendomi, ch’ove fatica assai difficile per un solo il volgarizzamento del Salterio, impossibile sarebbe stata per due. Quanto ho finora osservato circa i difetti di questo lavoro, mi assolverà spero dalla taccia di parziale se soggiungerò adesso, che, in onta a que’ difetti, la traduzione del Pezzoli vuolsi avere per la migliore di quante comparvero finora in Italia. V’ebbe chi in alcuni salmi adempì l’ufficio di egregio traduttore, e fu il Casarotti, a cui le Poesie bibliche saranno lungamente superstiti; ma, tolto questo, che, come dissi, soltanto alcuni salmi tradusse, qual altro volgarizzatore vorrà contrapporsi al Pezzoli? Forse il Mattei, che colla sua dilombatissima poesia ha prestato a Davide e a Salomone il linguaggio e le cantilene delle Semiramidi e degli Arbaci? O quel M. Rugilo, che, tranne la facilità, non ebbe mai vena di vera poesia in tutta l’anima? O il Diodati, che, valentissimo nella prosa, non si dimenticò di essere prosatore anche quando studiavasi di poeteggiare? O il più antico Mattei, o il Capponi, o il Giustiniani, o Redi Gregorio, che traduceva nel senso letterale e in quarta rima, o alcuno di quei più copiosi che volgarizzarono i soli penitenziali, e di tutti in somma i registrati e non registrati nell’indice pazientissimo compilato dall’abate Rubbi pel secondo volume del suo Parnaso de’ Traduttori?