Notizie della vita e degli scritti di Luigi Pezzoli/XIII. Malinconia, e concentramento delle idee religiose
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XIII. MALINCONIA, E CONCENTRAMENTO DELLE IDEE RELIGIOSE.
Un ordine intanto d’idee più severe si andava suscitando nella mente del Pezzoli. Perduta la consorte, che pianse in un’elegia, come fatto aveva del padre e della madre, elegie tutte e tre stampate; poco avendo gustato di quelle gioie che l’animosa giovinezza gli aveva forse fatto sperare; fiaccatesi l’indignazione e la bile da cui fu lungamente inspirato: i lanciamenti supremi dell’immaginazione, il dispetto del mondo, il rammarico della vita, con la tristezza prodotta dalla sanità, omai cominciata ad indebolirsi, si unirono a cagionargli il bisogno di cercare, più oltre che non vanno le umane speranze, un rifugio, un conforto. Fu allora la religione il costante soggetto de’ suoi pensieri, e il genio che lo animava a comporre. Un sermone che non manca di bellezza, ma che non discorda colla stravaganza della trattazione da quella promessa dal titolo, il Misostravo, intitolò al professore Giovanni Bellomo, di cui molto ebbe in pregio l’amicizia, e a cui ricorreva per consiglio assai di frequente. In questo sermone assai bizzarramente al linguaggio della Bibbia e de’ Padri trovansi frammischiati il frasario e le uscite dei satirici, e chi si piace di singolarità non ha certamente gran fatto a desiderare dopo questa lettura. Meno ridondante d’indignazione, e oltre a ciò con meno disgustoso accozzamento d’immagini religiose e profane, è un altro sermone diretto a monsignore Antonio Moschini, benemerito oltre ogni dire di questo Seminario, e assiduo e intelligente cultore della patria letteratura e delle arti. In questo sermone, preso argomento dalla festa del beato Girolamo Miani, si pungono i vizii opposti alle virtù praticate da esso beato, di cui veramente l’evangelica carità ebbe pochi apostoli più operosi ed esemplari.
Cominciata qualche anni addietro, seguiva egli pure di questo tempo con molto calore la traduzione delle lettere di san Girolamo; ma nemmen questa condusse a fine, e fu tra le scritture che condannò negli ultimi giorni di sua vita alle fiamme. Sconfortavasi lungo il lavoro che lo stile non ritraesse la bella e faconda semplicità dell’originale; e per altra parte distraevasi in altri lavori a cui veniva invitato, l’Elogio di Andrea Schiavone, a cagion d’esempio, e un’innumerabilità di poesie, sopra soggetti tuttaffatto municipali. Noterò nell’Elogio dello Schiavone una viva dipintura che ebbe campo a far di sè stesso il Pezzoli, anch’egli, nè più nè meno dello Schiavone, incalzato sempre da fiere necessità sopra un duro cammino, e condannato, se non a dipingere coperchi e parapetti di cofani nuziali, a condurre la penna su registri e protocolli, quando aveva stanca la voce dal chiacchierar di grammatica, e gli occhi dal rivedere sgorbii di putti e di ragazzette. In questa condizione d’animo e di studii si rivolse a tentare la traduzione del Salterio, nè impresa v’avea certo più consona all’indole del Pezzoli, se tentata ad altra stagione, e considerata sotto altro aspetto da quello gli venne rappresentata alla mente, in molta parte privata del suo primitivo vigore.
Di ciò, oltre quanto può aver compreso il lettore dalle cose antecedentemente narrate, danno indizio non dubbio alcune morali canzoni, ultime fra le cose originali da lui composte, e che solo sette rimasero, di oltre a trenta ch’esser dovevano, attesa la morte del poeta. In queste canzoni la naturale inclinazione del Pezzoli allo stile immaginoso ed ornato si vede apertissima, sebbene non manchino a quando a quando scoppii di bile, che fanno ritornare alla memoria l’autor dei sermoni. Aspersa di questa bile medesima è una memoria, rimasta sola di prima ch’esser doveva a due altre, in apologia di Paolo Segneri, contro alcune accuse date al grande oratore dal professore Finazzi. Alle osservazioni del professore, buone per la più parte, e certo meritevoli tutte di commendazione pel nobile intendimento onde sono dettate, il Pezzoli rispose molto severamente, e, vaglia il vero, in questa prima memoria più assai coll’agrezza de’ sarcasmi, che colla solidità del discorso. Sarebbe per altro ingiustizia il portar giudizio di tutta l’opera da questo primo saggio. Appassionavasi pei suoi prediletti autori tutto che morti, come faceva pei vivi suoi amici: da questo sentimento fu consigliato a comporre il sermone dei Matematici, come s’è detto; da questo un Discorso apologetico ad una mia giovanile tragedia composta sulle tracce della Sposa di Messina dello Schiller, e che, rappresentata sul nostro teatro di san Benedetto l’anno 1821, trovò in quel gaio uditorio l’accoglienza che avrebbe fatto superbo uno scrittore di farse; da questo stesso per ultimo la Memoria sulla sacra eloquenza del Segneri di cui abbiamo pur ora parlato. Ma è tempo di passare alla traduzione de’ salmi.