Notizie della vita e degli scritti di Luigi Pezzoli/X. Sermoni

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IX. Della satira italiana XI. Scuole private
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X. SERMONI.


Le satire del Pezzoli procedono per sentiero più vasto, e contendono a meta assai più elevata. Non intendo parlare di alcuni sermoncelli da lui stampati nel Mercurio, e nella Raccolta d’opuscoli pinelliana, e che possono chiamarsi non più che bozze di quelli che posteriormente compose. In que’ primi la imitazione del Gozzi è troppa, e i soggetti intorno a’ quali si aggirano, non altro che i soliti lagni sugli abusi introdotti dai moderni nello studiare e nel comporre. Parlo di quelle satire che, seconde di tempo, sono prime [p. 194 modifica]di merito, e le quali non tutte, e sempre pubblicate alla spicciolata e in pochi esemplari, aspettano tipografo che offra in esse all’Italia un’opera di poesia non punto delle comuni. In queste moltiplici gli argomenti; lo stile quando magnifico, quando veemente, secondo i casi; evidenza d’immagini, varietà e sceltezza di modi, caratteri, pitture, sentenze per la più parte nuove e importanti. È questo il luogo, o signori, ove più mi si fa sentire pesante l’obbligo che mi sono imposto di nulla citare, a non crescere smisuratamente la mole del mio discorso, cui potrei senza dubbio di siffatte citazioni abbondevolmente abbellire. Ma già taluna di quelle satire fu per voi udita da questo medesimo luogo, e di tutte la più bella, quella diretta a Paolo Zannini, che tutta abbraccia la mostruosa generazione de’ vizii, e con gravi parole deplora le calamità preparate a chi vuole soprastante al ventre l’ingegno. E di questa, dacchè hanno le stampe una relazione molto viva e compiuta, non mi indugierò nel ritessere le lodi, e accennerò invece le altre, che, non arrivandola in bellezza, non le sono tuttavia nè manco indegne sorelle. Se il Gozzi ed il Mascheroni non avessero precorso al Pezzoli, la satira, o pistola, com’egli piacevasi intitolarla, che diresse all’abate Meneghelli intorno ai sacri oratori si dovrebbe tenere in conto di rarissima cosa; ma se l’inventiva non è singolare, affatto rimota da ogni volgarità è la trattazione. Alcune allusioni, che il tempo togliendo di mezzo i prototipi cui [p. 195 modifica]riferivansi ha mortificate alcun poco, dovevano potentemente colpire gli animi di coloro che quei prototipi avevano sotto gli occhi. Le Donne, il Mondo e i Ricchi, che con troppo facile scambio fu poi stampata col titolo degli Avari, e alcune altre tuttavia inedite, per forza di concetti, finezza di osservazioni, e studio di lingua, di stile e di ritmo gareggiano colle anzidette. In generale dei sermoni del Pezzoli sentono la scuola giovenalesca. Molti estratti delle satire di quell’antico, trovati fra le sue carte, e la traduzione in prosa di alcune, che vedevasi fatta per solo esercizio o per alimento al proprio mal umore, raffermano una tale opinione. Maggior candore e finezza di stile hanno per verità i sermoni del Gozzi; il Zanoia ne’ suoi pochi ed eletti ha più evidentemente ritratti i costumi particolari al suo tempo; pure non pochi sono i vizii lasciati intatti dai satirici anteriori al Pezzoli, e ch’egli coraggiosamente seppe svelare e trafiggere. Parrà forse a taluno che molte volte lo studio degli ornamenti poetici scemi evidenza alla pittura, o la spogli almeno delle tinte particolari al tempo ed alla nazione; io so per altro di qualche richiamo fatto al poeta per la troppa libertà e precisione onde erasi studiato di colpire alcune azioni e alcune persone. Non sarebbe però nuovo il caso che la critica letteraria da un lato, e l’amor proprio dall’altro, assottigliando ambidue in causa propria le osservazioni, accagionassero lo stesso autore e l’opera stessa di colpe affatto [p. 196 modifica]opposte. Questo io posso protestare per semplice amore di verità, che dalla lunga consuetudine avuta col Pezzoli, e usando egli comunicarmi fino a’ più intimi de’ suoi pensieri, non mai mi fu dato cagione a presumere che ne’ suoi sermoni avesse mirato a ritrarre piuttosto altra che altra persona, bene che, com’è proprio di ogni scrittore che intenda comporre secondo natura, ricavasse dall’osservazione continua i materiali alle sue descrizioni.

E così veniva finalmente il Pezzoli in nobili e acclamati lavori svolgendo il germe degli studii fatti, e versando la bile concetta nell’animo insofferente. Fu circa a questo tempo ch’io lo conobbi; e il disgusto in lui radicato, oltrechè della vita, dell’esercizio medesimo di quelle arti che la consolano, mi fu subito palese in un sonetto che lo trovai intento a comporre una mattina in cui recato erami a visitarlo. Ecco il principio:


Finchè t’arridon la salute e gli anni,
   Datti bel tempo e lisciati la pelle:
   Luïgi, credi a me, che sgualdrinelle
   Sono le muse, e Apollo un barbagianni.


E chi mirava alla fisonomia onde pronunziava quei versi, e li raffrontava a tutto il resto ch’egli compose, accorgevasi bene esser essi qualche cosa di più che non sogliono le usate semplicità de’ poeti, i quali, simili agl’innamorati, quanto più ne sono presi, e tanto più parlano leggermente delle loro belle, e presumono d’esser creduti.