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di merito, e le quali non tutte, e sempre pubblicate alla spicciolata e in pochi esemplari, aspettano tipografo che offra in esse all’Italia un’opera di poesia non punto delle comuni. In queste moltiplici gli argomenti; lo stile quando magnifico, quando veemente, secondo i casi; evidenza d’immagini, varietà e sceltezza di modi, caratteri, pitture, sentenze per la più parte nuove e importanti. È questo il luogo, o signori, ove più mi si fa sentire pesante l’obbligo che mi sono imposto di nulla citare, a non crescere smisuratamente la mole del mio discorso, cui potrei senza dubbio di siffatte citazioni abbondevolmente abbellire. Ma già taluna di quelle satire fu per voi udita da questo medesimo luogo, e di tutte la più bella, quella diretta a Paolo Zannini, che tutta abbraccia la mostruosa generazione de’ vizii, e con gravi parole deplora le calamità preparate a chi vuole soprastante al ventre l’ingegno. E di questa, dacchè hanno le stampe una relazione molto viva e compiuta, non mi indugierò nel ritessere le lodi, e accennerò invece le altre, che, non arrivandola in bellezza, non le sono tuttavia nè manco indegne sorelle. Se il Gozzi ed il Mascheroni non avessero precorso al Pezzoli, la satira, o pistola, com’egli piacevasi intitolarla, che diresse all’abate Meneghelli intorno ai sacri oratori si dovrebbe tenere in conto di rarissima cosa; ma se l’inventiva non è singolare, affatto rimota da ogni volgarità è la trattazione. Alcune allusioni, che il tempo togliendo di mezzo i prototipi cui