Notizie biografiche di S. Eminenza Reverendissima il cardinale Giuseppe Morozzo (Avogadro di Valdengo)/Notizie biografiche

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Notizie biografiche di S. Eminenza Reverendissima il cardinale Giuseppe Morozzo (Avogadro di Valdengo) Iscrizioni funerarie
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Il cardinale Giuseppe Morozzo Arcivescovo-Vescovo di Novara commutò nella mattina del giorno 22 marzo col tempo l’eternità. A commendare degnamente la vita di un uomo privilegiato di sì grandi virtù, facoltà richiedesi di eloquenza, che in me non è. Oltracciò in mezzo all’universale compianto, che questo fatal giorno sollevò in ogni condizion di persone, fra il duolo che da tante parti, e in tante guise si riversa sul mio cuore, sono così perturbati i pensieri e gli affetti, che mi sarà malagevole ordinarli, e vestire di forme convenienti. Ad ogni modo reverenza, gratitudine, amore, posero avanti la santità de’ loro diritti, e vollero che un tributo offrissi, tributo che non fu mai nè più vero, nè più meritato. Sarà ufficio dì chi raccorrà poi i minuti particolari di sua vita seguitarne accuratamente, e con quiete i varii passi che la segnalarono. Nella modesta mia narrazione non accennerò, che i tratti più alti a fine di vagheggiare alquanto più le sovrane virtù del cuor suo, per le quali la pubblica amaritudine è sì profonda, sì giusta.

Giuseppe Morozzo di Bianzè nato in Torino il 19 marzo 1758, di una famiglia di chiarissimo sangue, parve destinato non pure a mantenerne il lustro, ma ben anche ad estenderlo, rinnovando le avite e paterne virtù. Le storie subalpine con onore ricordano quanto la famiglia Morozzo abbia in ogni tempo oprato per la religione, per [p. 4 modifica]la chiesa, in sostegno del Trono Sabaudo. Parecchi furono nell’armi famosi, nel trattar guerre e pace abilissimi, altri ai miti studi applicati, altri dell’infula sacra ornati. Il padre del nostro porporato fu nella coltura delle amene lettere assai distinto. Un indice abbiamo delle sue opere inedite, scritte dal ch.mo conte Prospero Balbo, nella vita del Conte Carlo Lodovico Morozzo, di lui figlio, luminare delle scienze fisiche a’ suoi tempi, e a cui la Torinese Accademia delle Scienze, dopo quei primi fondatori Saluzzo, Cigna, Lagrange moltissimo va del suo lustro e splendore debitrice. La madre di questo, del nostro Giuseppe, e di ben otto altri figli, fu la Marchesa Cristina Morozzo, figlia di Giulio Cesare Bertone dei Balbi, Conte di Sambuy, Cavaliere dell’Ordine Supremo della SS. Annunziata, e sorella di Marco Aurelio Cancelliere dell’Ordine medesimo, illustre Vescovo di Novara.

Sortì da natura Giuseppe Morozzo ingegno acre, pronto, vivace, facile a penetrar con profitto ne’ più reconditi misteri della scienza. Orbato ne’ primi suoi anni del padre, passò tra le amorevoli cure della madre, e quelle dell’ottimo zio Monsignor Bertone intemerata la puerizia.

Giovanetto vestì l’abito de’ cherici, ed era agli altri di esempio nella compostezza della persona, ne’ sacri riti, nelle cerimonie, ed in ispecie nella pietosa premura di catechizzare i rozzi fanciulli: indizi felici di quell’egregio spirito sacerdotale, che tanto in vita poi lo distinse. Un tal senno virile sin d’allora mostrava, che i parenti ne presagivano qualche cosa di grande, ed era dagli eguali con rispettosa distinzione riguardato.

Ai domestici ammaestramenti nelle scienze, tennero dietro quelli dell’Abate Paolo d’Allegre suo privato precettore, che fu poi Canonico della Cattedrale di Novara, Vicario Generale, Arcivescovo di Amasia, e Vescovo di Pavia.

Con sì felice successo coltivò i primi rudimenti delle scienze, e sì presto se ne istruì, che a quindici anni già fu creduto capace di essere iniziato nelle sublimi teologiche dottrine. A queste discipline aveva il giovanetto preparato l’animo studiando nelle lettere, nella eloquenza, nella filosofia, nella fisica, e nella storia. Tanto era pronta e tenace la memoria, e di naturale acutezza fornito l’ingegno.

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L’Università di Torino, come in ogni tempo, fioriva allora per sommi maestri in Divinità. Ad ingegno sodo e penetrante unendo egli grande avidità di sapere, amore di verità, e profonda meditazione della sublime dottrina, a cui si era applicato, a siffatta scuola nutrito, e sotto tali maestri, nella scienza di Dio talmente in breve si addentrò, che nel periodo di quattro anni ebbe con sommo plauso la laurea dottorale il 23 di aprile 1777. I chiarissimi Professori di Sacra Scrittura, e lingue orientali, Boyer e Regis, non solo encomiarono in quest’occasione l’ingegno del giovane teologo, e la profondità negli studi, ma altresì la diligenza, la pietà, il nobile contegno, agli altri proponendolo modello, e facendo voti, che tosto fosse fra i dottori ascritto dell’amplissimo teologico consesso, onore a pochi privilegiati ingegni concesso. Così fu infatti l’11 di novembre dello stesso anno.

Giovane non solo di alto ingegno, ma di gentili e nobili maniere, venne dai condiscepoli eletto nell’anno seguente Rettore dell’Università. Solevasi allora insignire di tale dignità uno dei giovani più distinti per nobiltà e per scienza, e questi era poscia riguardato come Principe dell’Ateneo. L’elezione era libera, e dipendeva dal voto degli uguali.

Cresciuto in età più matura, vide che doveva aprirsi più ampia carriera. Secondando quindi i desiderii della madre, e dello zio Monsignor Bertone, accompagnato dall’Abate d’Allegre, recossi in Roma nella nobile Accademia Ecclesiastica.

Pio VI Braschi di Cesena regnava allora sulla Cattedra di Pietro, immortal Pontefice per grandi virtù ed immense sventure.

Nel nominato Ecclesiastico Instituto tutto egli consacrossi allo studio delle sacre discipline, onde vieppiù addentrarsene. Aveva egli in quella stagione a compagni Gravina, Litta, Caracciolo, Pacca, Testaferrata, Rivarola, Degregorio, decorati poscia tutti della porpora romana; e con molti di essi, specialmente coll’illustre Cardinale Degregorio, strinse tale amicizia, che tutta durò la vita.

Consapevole come niuna cosa vesta l’animo di onestà quanto il conversar co’ buoni, solo della presenza di questi si piacque. Nobile gara accendeva gli animi di quegli alunni a progredire [p. 6 modifica]nelle scienze e nella pietà, e fra essi brillava il Morozzo. Ebbe quindi in breve i primi onori della Prelatura romana. All’insigne Collegio fu ascritto dei Protonotarii Apostolici Partecipanti. Dopo varii minori impieghi, conosciuta dal Sommo Pontefice la rara sua abilità ai pubblici impieghi, fu successivamente destinato Vicelegato in Bologna, quindi al governo di Perugia e di Civitavecchia. In questi dilicati ufficii non serviva all’interesse o all’ambizione sua propria, ma dimentico di se, non curavasi che de’ suoi, non sentiva che l’amore del bene. Coll’uno consigliator prudente, esecutore degli ordini, fido, rapido, instancabile, cogli altri buono, amorevole, voleva i popoli al suo governo soggetti di ogni cosa provveduti.

Privilegiato di maschio e perspicace intelletto, volse l’animo anche fra civili negozii, agli studi delle dottrine più sane ed elette. Antepose le ecclesiastiche, ma non trasandò le profane. Di queste meditò sovra tutte le storie, tanta parte degli ammaestramenti degli uomini. Scrisse erudito elogio del Cardinale Marco Antonio Bobba Vescovo di Aosta, ambasciatore e legato del Duca Emanuele Filiberto di Savoia al Concilio di Trento, e la carta corografica illustrò del così detto Patrimonio di S. Pietro, mostrandosi in quest’opera delle scienze economiche dotto cultore. Entrambe incontrarono queste Scritture il suffragio autorevole dei dotti. In ispecie l’ultima assai piacque al Papa Pio VI, che ne accettò la dedica.

Si maturava egli così alle prove ond’era per abbellire il suo nome: quando i sanguinosi rivolgimenti di Francia tutta turbarono Europa. Pio VI, per eccesso d’ingiustizia, spogliato del regno e della libertà, moriva in esilio, e gli Stati Pontifici erano dalle truppe conquistatrici invasi.

Reduce allora Monsign. Morozzo in Piemonte, in seno alla famiglia, occupavasi in utili studi, e in pie opere, aspettando in silenzio la soluzione del problema che tutta agitava l’Europa. Li 29 agosto 1799, in Valenza sul Rodano, con eroica e cristiana costanza moriva il prigioniero Apostolico lasciando ai posteri esempio di quanto possa la virtù, sebbene nella più provetta vecchiezza, e in dura schiavitù. I Cardinali, dopo molte contrarietà ed ostacoli d’ogni genere, il primo di decembre stesso poterono riunirsi in [p. 7 modifica]conclave a Venezia, per eleggere un successore al defunto Vicario di Cristo.

Non curando i pericoli che un’inquieta politica seguitava, Monsig. Morozzo sollecito portossi in Venezia in compagnia dell’illustre Cardinale Gerdil, a cui era molto affetto, onde prestare agli Em. Padri colà radunati i consueti uffizi prelatizi.

Il nuovo Pontefice ritornava in Roma il 3 luglio 1800, e con ogni cura tentava ristabilire l’antico ordine di cose. Al servizio della S. Sede tornò pure il nostro Prelato. Tosto a lui furono affidati importanti ufficii, che sempre con raro senno, prudenza e giustizia disimpegnò. Erano le sue virtù, i suoi meriti noti alla Corte Pontificia, che tutta assai l’amava e lo stimava. Ma sovra ogni altro, per le rare sue doti, al celebre Cardinale Antonelli, già Prefetto di Propaganda, e allora segretario dei Brevi di S. S., e all’encomiato nostro Gerdil era carissimo. Doti cotanto risplenderono presto agli occhi dell’immortale Pontefice Pio VII, che distogliendolo da altre gravi occupazioni ne usò felicemente il senno in legazione importante, delicatissima presso al nuovo Re d’Etruria, Lodovico I. Borbone, e dopo la morte di lui presso la vedova Regina Maria Luisa. Addì 29 marzo 1802 fu preconizzato Arcivescovo di Tebe in partibus, e rivestito poscia della qualità di Nunzio Apostolico Legato a Latere in Toscana. A termine condusse accordi del più alto momento per la Chiesa, e con reciproca satisfazione delle parti lo suo ufficio egli ognora trattò.

Ancora più splendida nominanza della sua missione egli avrebbe al certo raccolto se la modestia sua moltissime non avesse celate delle sue gesta. Ricorda tuttavia Firenze la diplomatica sua industria, la rara lealtà di sue vie, e insieme il nobil costume con che aggentiliva per natura ogni passo, ogni azione.

Dalle sponde dell’Arno dopo qualche anno Pio VII richiamò l’Arcivescovo di Tebe in Roma. Incresceva bensì al Supremo Gerarca toglierlo a diplomatici affari, ma non vedeva chi allora meglio potesse di lui tenere l’importante carica di segretario della Congregazione de’ Vescovi e Regolari. Esaminatore poscia lo volle de’ Vescovi, consultore della S. suprema inquisizione. L’avviso fu savio e provato, poichè versatissimo esso nella teologia, nella scienza dei [p. 8 modifica]canoni, de’ sacri riti, e in ogni altra più difficile ecclesiastica dottrina, era d’ogni parte consultato. Le commissioni più difficili in quei tempi calamitosi erano a lui affidate. Le imposture de’ Paccanaristi, che tanto rumore menarono allora in Europa, per esso sventate bastano a mostrare qual abile negoziatore egli fosse, senza che io tolga il velo di cui una savia prudenza ha coperto altri dilicati affari gravissimi per lui condotti a buon termine.

Tanti meriti doveano essere fra non molto premiati colla Porpora Cardinalizia. Quand’ecco le ostilità contro la S. Sede, che dalla politica erano state fin allora nascoste, apertamente ricominciarono. Miollis occupa Roma. Un decreto imperiale 17 maggio 1809 all’Impero Francese unisce gli Stati Pontifici. I Prelati Romani sono maltrattati, carcerati, e la stessa sacra persona del Pontefice Sommo non è rispettata, e i tenebrosi disegni dei nemici della S. Sede si compiono col rapimento del Papa.

Costretto esso pure Monsignor Morozzo a lasciare la carica e la sede del Pontefice Sovrano fu per qualche tempo sotto gelosa custodia in Parigi. Gli venne quindi concesso di ritirarsi in Torino. Caldo e fermissimo nella giustizia de’ suoi doveri, anche in questi duri frangenti, più temè di violare le sante leggi di questa, che di perdere il favore, o chiamarsi addosso la collera de’ potenti. Pago nel sentimento della coscienza, alle contumelie dei tristi mai non oppose che l’arme dei buoni, il silenzio. Ritirato in Torino tutto consecrossi all’episcopal ministero in sollievo delle molte Diocesi del Piemonte prive del loro Pastore. Il sacramento della Confermazione ovunque egli fosse richiesto conferiva, asprezza di luoghi non curando, incomodi, fatiche, difficili e quasi impraticabili montane vie. Instancabile nelle apostoliche sue fatiche, fedele alle spirituali necessità dei suoi simili, lasciò ovunque onorata e cara memoria della sua persona, per cui non saprei decidere se fu più grande nelle alte sue cariche o nel modesto ed operoso suo ritiro.

La fortuna dell’aquila francese precipitava al tramonto. Italia e Francia erano invase dalle armate collegate, Napoleone scorgendo anche fra più duri cimenti, fra crudele persecuzione irremovibile e salda la costanza del Vicario di Cristo, ogni sforzo inutile per abbatterla, decise di ritornarlo alla sua sede. Li 25 gennaio 1814 Pio VII [p. 9 modifica]lasciava Fontainebleau. Una scaltra e segreta politica aveva però ordinato, che lento fosse il ritorno a Roma del Pontefice, sulla speranza che le sorti migliorassero dell’impero. A Savona dovette quindi nel corso del viaggio passar qualche tempo in preda a nuove angustie. Frettoloso qui corse ad incontrarlo l’Arcivescovo di Tebe. Colla massima effusione di cuore l’accolse il travagliato Pontefice, e con esso le amarezze divise del paterno suo cuore.

Rimesso infine in libertà: al suo fianco lo volle compagno nel resto del viaggio a Roma, Murat tentò opporsi al ritorno del Papa ne’ suoi Stati. Prima di riceverlo in Cesena Pio VII confidò alla fede ed abilità sperimentata di monsignor Morozzo di presentarglisi in Bologna per sì difficile negozio. Va egli per effetto, e la cosa ottiene l’esito desiderato.

Rientrato Pio VII al Vaticano tosto restituì l’Arcivescovo di Tebe alla carica di segretario de’ Vescovi e Regolari. Ma nuovi turbamenti insorgevano ancora ad allontanare la promessa pace. Ricomposta da ultimo stabilmente Europa all’antico equilibrio, mercè una scossa sì fiera come quella che il ruppe, volendo il Sommo Pontefice premiare i grandi meriti di Monsig. Morozzo, nel concistoro 8 marzo 1816, lo creò Cardinale di Santa Chiesa. Onorava il novello Porporato l’ostro romano colle sue virtù e indefesso lavorava a vantaggio dell’orbe cattolico nelle commissioni speciali dal Pontefice a lui affidate, e nelle Congregazioni dei Vescovi e Regolari, Propaganda, Indice, ed Esame dei Vescovi in sacra teologia, delle quali era membro.

Attendeva in quel torno l’Augusto Vittorio Emanuele a ristabilire in questi regi stati l’antico ordine di cose, ottenendo per bolla 20 ottobre 1817 ripristinate le soppresse sedi. Per una delle più importanti gli occhi rivolse sul Cardinale Morozzo. A malincuore acconsentì il VII Pio a privarsene, a lasciarlo partire dalle sponde del Tebro per quelle felicitare dell’Agogna.

Nel concistoro del 1° ottobre fu preconizzato Vescovo di Novara, e nel successivo dicembre vi prese formale possesso.

Giusta l’usanza degli antichi padri e pastori della Chiesa, alla novella sua diocesi annunciavasi agli ecclesiastici proponendo aureo Manuale in cui sono raccolti li più importanti precetti per formarsi [p. 10 modifica]ottimo spirito sacerdotale. In ogni parte lo divulgò, e tutti ne volle provveduti i ministri del Santuario. Due edizioni già conta questa bella operetta: molti Vescovi, conosciutane l’utilità, la proposero alla Diocesi loro.

Or chi dirà la saviezza de’ suoi consigli, la sua giustizia? Chi la pietà del suo cuore? Chi l’amor suo per la diocesi, alla quale consacrò tanta parte della sua vita? Benigno amministrator della giustizia, non mai consentì che si trapassasse.

Fra l’alternativa, o di offendere il vero, o di parer aspro, non mai dubitò. Se vi ha persona, che non sia stata oggetto di qualche laudabil tratto dell’animo suo, è segno manifesto, che mai non ne bisognò; chè nessuno invero si partì mai da lui sconsolato: e si potrebbe affermare ch’ei così godea di vincere le speranze giuste, come di rassicurare le incerte.

Immense sono le opere del Cardinale Morozzo fatte in questa diocesi fortunata, la quale avrà al certo sino alla più tarda posterità la sua memoria in benedizione. I decreti del governo italico avevano soppresse le corporazioni religiose, i capitoli, alienati i beni, messa ogni cosa sacra a soqquadro. Meno non vi voleva dello zelo di sì gran Vescovo per ristabilire l’ordine antico. Undici Collegiate in questa vasta diocesi furono per lui rimesse in vigore; quattro Conventi di Religiosi Francescani, due Monasteri di Religiose Orsoline, una pia casa delle Suore di S. Giuseppe in Novara come fondatore lo riguardano. Sono alle pastorali sue cure dovuti due Monasteri di Suore di S. Vincenzo de’ Paoli, lo stabilimento delle Suore della Carità in varii spedali, e pii istituti, le Suore della Provvidenza, ed altre per l’istruzione religiosa delle femmine.

L’instituto della carità nel 1828 sul Monte Calvario di Domodossola fondato, e quindi in varie diocesi del Piemonte, e persino in Inghilterra con molto vantaggio delle anime diffuso, deve al nostro porporato il suo principio, per attestazione del supremo gerarca Gregorio XVI nella bolla In sublimi, di approvazione di questo instituto. Il ristabilimento della congregazione degli oblati di S. Carlo fra le sue prime pastorali cure si annovera. Con occhio paterno egli ognor la protesse, di più comoda, ed ampia casa la provvide, e sin negli ultimi suoi giorni pegno volle darle del tenero suo affetto. [p. 11 modifica]Lo stabilimento de’ seminarii vescovili, opera sì utile, e cotanto dai Tridentini padri commendata, gli fu sopra ogni altra cosa sommamente a cuore. Sono a lui dovuti il seminario di S. Carlo sopra Arona, quello di Miasino, il miglioramento di quello di Gozzano, e da ultimo il nuovo magnifico, che si sta costruendo nell’Isola di San Giulio, sede dell’antico principato de’ Vescovi di Novara. Ma ahi! che il tuo cuore, ottimo pastore, il gaudio non ebbe di mirarlo compiuto! Con particolar dilezione egli guardava quest’opera gigantesca crescere ed innalzarsi sotto ai suoi occhi, con trasporto ne parlava, e qualora alla mente sinistro pensiero presagivagli, che a termine pur troppo non l’avrebbe veduta, nella cara speranza, tutto si consolava, de’ grandi vantaggi, che in tal guisa alla diocesi Novarese procurava, e questa dolce speranza quella si fu, che lo decise a favorirlo nel suo ultimo testamento di vistoso legato. Dello spirituale vantaggio de’ giovani alunni del Santuario assai più ancora, che del materiale egli occupossi. Sin dal 1818 pubblicò ottimo regolamento per gli studi ecclesiastici. Eccellente trattato di sacre cerimonie propose: l’utilissima opera del Soetler, Monita ad parochos dedicata al Sommo Pontefice Leone XII, emendata e corretta regalava nel 1825 alla diocesi. Gli scritti riprodusse del venerando Vescovo di Novara Monsig. Bascapé: aureo libro d’istruzioni al clero, e novello Agostino scrisse regole per dirozzare gli idioti nella scienza del catechismo.

Ad oggetto di riparare ai danni, che l’esperienza gli aveva provato derivare dalle vacanze ai Cherici Seminaristi, provvide nel Borgo di Oleggio ampio locale di villeggiatura a’ figli suoi dilettissimi, onde così all’onesta ricreazione, e sollievo andasse unito studio regolare, e non si avesse per dissipazione a perdere il profitto dell’anno scolastico. Gregorio XVI con apposito Breve volle manifestare al nostro Porporato la sua consolazione per tale opera.

Dell’ecclesiastica disciplina fu in ogni tempo zelante osservatore. Colla visita Pastorale per ben tre volte ripetuta nella vasta sua diocesi, i bisogni conobbe minutamente del suo popolo, rimediò agli abusi. Non vi è chiesa, non oratorio, sito in alpestre, e montano luogo, che stato non sia da lui visitato. Per iscoscese balze, per erti, difficili cammini in poveri luoghi, nel rigor delle stagioni, fra [p. 12 modifica]le pioggie e le nevi, novello apostolo egli corse; fatiche non curando e stenti per visitare le amate sue pecorelle.

Tutti confortava colle affettuose sue parole, tutto a tutti egli era, e la pastorale sua voce in ogni luogo, in ogni parrocchia le eterne verità con rara e commovente eloquenza fe’ intendere. Zelante, come d’ogni altro, così di questo Pastorale suo dovere, anche in questo anno, non ostante la grave sua età, e li molti incomodi, nel primo giorno per la rinnovazione de’ voti battesimali, ancora intendere l’affievolita sua voce egli faceva. Soventi in città, e ne’ circonvicini paesi il gregge nutrì del pane della Divina parola, e parecchie eloquenti omelie di lui si hanno a stampa. Fu orator piano, ma copioso, avveduto, libero, fermo banditor del vero. La sua eloquenza fu quella del cuore, e tale egli aveva dono di muovere gli affetti, che era impossibile alle sue parole frenare il pianto, e n’erano i cuori più duri commossi.

La Sinodo diocesana del Cardinal Morozzo nel 1826 pubblicata, è una delle più grandi sue opere, sufficiente da sola ad eternarne la onorata memoria. L’immortale Leone XII con breve 22 settembre 1827 altamente la commendava, e agli altri Vescovi esempio la proponeva e modello. I più illustri Porporati e Vescovi a gara concorsero nell’encomiarla.

Ebbe ognora divozione illimitata, e il più reverente ossequio alla Sede Romana. Tutte cercò di uniformare ai riti di questa Madre delle Chiese le parrocchie della sua diocesi, quelle al rito Ambrosiano cercando togliere, che unite prima alla sede di Milano alla Novarese nel 1817 erano state aggregate. Allora soltanto dall’intrapresa ristette, quando decreto della S. Congregazione de’ Riti, e apposito breve di Leone XII, lodando il generoso suo zelo, a tollerare quell’antico rito lo consigliavano. Tutti con figlial rispetto gli ordini riceveva dalla Cattedra di Pietro, e colla più profonda venerazione ogni cura e studio metteva in opera per farli eseguire, dando il primo esempio di pronta obbedienza.

Nel corso del pastorale suo ministero giusta quanto a’ Vescovi è prescritto, quattro volte portossi a visitare le tombe de’ Ss. Apostoli: tre volte per l’elezione de’ Sommi Pontefici nei conclavi per Leone XII, Pio VIII, e Gregorio XVI, non che nell’anno S. del Giubileo.

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Religione è sostegno del Trono. Viene da Dio ogni potere, e in Dio ritrova l’autorità sovrana fonte, principio, ed uso. Quindi ossequio e fedeltà prestò in ogni tempo agli Augusti nostri Monarchi. Segnalati servigi rese allo Stato, e in torbidi tempi non ismentì sua fede. La provò coi fatti. La storia vera apprezzatrice del merito rivelerà un giorno tante men note generose azioni. Ebbero i nostri Re gran fidanza in suddito sì ligio e fedele. Le commissioni più difficili a lui affidarono. Fra le altre ebbe nel 1832 d’accordo colla Santa Sede la presidenza della commissione per la riforma del clero secolare e regolare; e nel 1834 l’onorevole incarico di riformare la Congregazione di Soperga, d’istituire e presiedere a nuova accademia di alti studi Ecclesiastici per distinti giovani delle diocesi dello Stato. Utilissimo instituto. Questo luminoso pensiero del Cardinale Morozzo, che la sapienza del nostro Monarca apprezzava e mandava ad effetto, fu universalmente in Italia, e in Francia commendato.

Furono degnamente apprezzati i servigi, che rendeva alla patria; gli valsero molte onoranze de’ nostri Principi. Anzi, dirò cosa ancor più rara, gli meritarono l’amor loro. Fu scelto a benedire in Genova le regali nozze del Re di Napoli colla principessa di Savoia Maria Cristina. Gli conferì allora questo Sovrano le grandi insegne dell’ordine insigne di S. Gennaro. L’Augusto Carlo Alberto il 21 novembre 1832 lo decorò del collare dell’Ordine Supremo dell’Annunziata; antichissimo ordine cavalleresco, di cui ognora intatta si è conservata la stima. Due volte onorò il Re Carlo Felice sua casa, prendendovi alloggio in Novara, e nell’amena villeggiatura di Gozzano. Più volte visitato da Principi (non ultima lode), loro piacque. Onorato per qualunque modo da essi non ne fu superbo.

Difficil cosa sarebbe descrivere tutto ciò che di bene e di vantaggioso operò nella sua diocesi il Cardinale Morozzo nei ventiquattro anni di suo governo, e quanto dispose e preparò d’istituzioni utili, di salutare, di vedute saviissime. L’opera santissima stabilì delle missioni nelle parrocchie della diocesi per opera della congregazione degli Oblati di S. Carlo. Moltissime sono le lettere pastorali, ed istruzioni che egli pubblicò. Tutte sono di celeste sapienza condite, e in tutte cercava egli per una parte d’istruire i fedeli, d’illuminare gli erranti per l’altra. Mostrano esse l’ampiezza della dottrina, la [p. 14 modifica]dirittura della filosofia, il candore dell’animo, il desiderio del bene, l’amore del suo popolo, la sottilità dell’ingegno.

La vicinanza della Diocesi Novarese alla Svizzera fa sì, che molti protestanti addetti alle manifatture in essa si portino ad abitare. Questi pure non dimenticò il fervido suo zelo, e figli d’adozione ne fece, provvedendo loro con ogni cura e travaglio, i mezzi d’istruirli, d’invitarli a tornare al seno tradito di una madre, che li ama anche ingrati, e li aspetta anche ribelli. Infruttuose non furono al certo le sue fatiche: Iddio le ha benedette. Molte furono le conversioni. Notabilissima fra le altre quella della nobile damigella Inglese Letizia Trelowny. Mostrò in questa circostanza di qual tempra sublime fosse il suo cuore veramente pastorale.

Colonne prime dell’edificio sociale eran per esso carità, e morale: perocchè reputava l’una il fondamento della concordia de’ popoli, l’altra il principio d’ogni sublime virtù. Quindi l’elementare istruzione tanto necessaria al popolo con ogni cura promosse, in quella guisa però, che primo luogo vi tenesse la religione. Per le scuole delle povere fanciulle le maestre pie propose dalla ven. Rosa Venerini in Viterbo fondate, le suore della Provvidenza, e altri benemeriti religiosi istituti. Le sale d’asilo, opera vantaggiosa cotanto, favorì, aiutò, e al maggior loro incremento di larghe beneficenze sovvenne. Quanto mai godeva, e rallegravasi il cuor paterno del nostro buon Pastore, allorchè visitando questi istituti fra que’ bamboli tenerelli si trovava? Viva parte alle mosse loro prendeva, alla recita divota delle preci, e colla parola del Redentore diceva — Lasciate questi pargoletti a me venire, che di essi è il Regno de’ Cieli.

Amico per natura degli uomini, e più di coloro, che erano conceduti al suo governo, promosse ogni pia opera di beneficenza, che al sollievo dell’umanità travagliata fosse diretta. Le case di lavoro, le commissioni di soccorso, gli spedali, i ricoveri, le largizioni generose agli ospizi, sono tutte cose alle quali statuire avea parte il consiglio suo, visitatore continuo di quegli asili delle umane sventure. I poveri inondati della Valle Sesia nel 1834 non ignorano con quanta sollecitudine paterna sia egli in loro aiuto accorso.

Devono molto alle zelanti sue cure il Carcere Penitenziario per le donne, stabilito in Pallanza, l’Orfanotrofio Dominioni, lo Spedal [p. 15 modifica]Maggiore, e il ritiro dei Poveri, per fondazione del cav. Depagave apertosi in Novara nel 1835. I poveri hanno in lui perduto un padre amoroso, un protettore munificentissimo. Ah! pur troppo si è in perpetuo irrigidita quella mano così pronta nello scoprir le miserie de’ suoi simili, così larga nel beneficare, così accorta nell’occultare il beneficio, come nel sottrarsi alla gratitudine dei beneficati. Fu così frequente, e così pronto ad ogni opera buona, come celato nel farla.

Dir quante lagrime abbia asciugato, quanti dolori alleggerito, quanti pii istituti soccorso lo potrebbe dire sol Dio, che ha scritte quelle opere sul libro della vita, e che ora gliene rende mercede.

Oh carità dell’umana famiglia! l’alta Provvidenza, della quale tu se’ ancella, ti comparte eziandio quaggiù cara e degna mercede, la venerazione e la riconoscenza delle genti.

Nè vili furono in esso i doni del cuore al paragone di que’ dell’ingegno. Ebbe scelti amici, e questi mantenne a se per tutta la vita. Fra gl’illustri Porporati del suo tempo i Cardinali Ercolani, Severoli, Della Somaglia, Degregorio, Guerrieri, Brancadoro, Sala, non che parecchi altri di sua amicizia ebbero vanto. Di particolar benevoglienza lo onorarono i Sommi Pontefici.

Pietoso, benefico, schietto, della nobiltà del sangue, e del grado sol ricordevole per accendersi ad opere alte, e magnanime, non ottenne manco riverenza, ed amore con la purezza e carità dei costumi, che ammirazione con la vastità della mente. Contrario egualmente al compartire, che al ricever lusinghe, trattò con osservanza i più alti dello Stato, con dignità i minori.

Fra le prerogative di questo nobile ingegno spiccò massimamente quella di conoscere accuratamente gli uomini, apprezzarne le qualità d’intelletto e di cuore, e tenersi sempre a fianco ottimi cooperatori nel santo ministero.

Vegghiante, operosissimo in tutto, a tutto parea voler egli con l’ardore dell’animo estendersi, nè mai tollerò, finchè potè, che altri, o supplisse per lui al lavoro, o ne aspettasse gli effetti.

Che se dalle qualità pubbliche faremo passaggio alle private, dove si troverà chi lo pareggiasse? Chi scordò più suo grado, quando si trattava d’indur fidanza, e sicurtà ne’ minori? Chi più lo reputò alto, e solenne quando era da pareggiarlo al bisogno? Nessuno più [p. 16 modifica]di lui conoscea l’arte, e sentiva la dolcezza del collegare il volere degli uomini in uno.

Quanti furono suoi famigliari attestar possono con verità quali e quante virtù agli occhi degli uomini nascoste ne fregiassero l’animo. Deh! si potesse togliere il velo, di cui volle sua umiltà ognora coperte tante generose azioni! Riconoscenza le rivelerà un giorno. A me basti asserire, che durerà lungo tempo la ricordanza e ’l desiderio de’ giusti suoi modi, della rara interezza della sua fede, delle sue sollecitudini non mai stanche nè scarse. Chierico, Prelato, Nunzio, Cardinale, Vescovo, nè per diversità di ministeri, nè per altezza di dignità, nè per rivolgimenti di fortuna rimutò costumi, ed opinioni.

Tutti pieni, alti, e soavi furono in esso i sentimenti di religiosa pietà, ammirando l’accordo della religione col cuore. Mostrò in ogni tempo la più calda e dilicata osservanza della religione, a cui difendimento palesò ognora grande coraggio, e forza.

Piacevole, ambito n’era il consorzio: copioso, assennato, arguto il discorso: sicuri i mezzi con che intendeva guadagnarsi l’animo di alcuno. Chi del carattere di lui giudicò dalle voci dei contrarii, lo disse astuto: chi ne interrogò i moti da presso, non trovò in lui, che accorgimento naturale, e consiglio maturo.

Poco potè contro di esso l’invidia; nulla la maldicenza. Sereno, placido ne osservò in silenzio le furie, avuto in riverenza da stessi suoi contrarii. Intese a romperne il dente maligno meglio che con le parole, con l’opere.

Toccò il Cardinal Morozzo l’ottantesimo primo anno di sua età nel massimo vigore di forze, e tutto conservando quell’ardore di spirito, quell’energia negli affari a lui sì propria. Cominciarono poi lievi malori, i quali di giorno in giorno crescendo scoprirono pur troppo a chi lo vedea dimesticamente chiari segni di non lontana caducità. Malattia inflammatoria-catarrale, che da lungo tempo covava, e che continuò a progredir nascosta, addì 10 febbraio scoppiò con forza tanto più grave alla sua età, e nella affievolita condizione di sua sanità. Se la prima furia del male fu vinta, superare così non si poterono le funeste conseguenze dell’indomabil morbo repugnante alle più vive, alle più illuminate cure dell’arte salutare, alle più accese preghiere de’ buoni, a’ voti dell’amato suo popolo.

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Chi potrebbe udire, e non piangere di una dolce pietà, la costanza e la fede, con che si appressò al passo di morte, e l’intenso animo col quale invocò ed accolse gli ultimi solenni aiuti di religione?

Guardò in viso la morte, e non si smarrì. L’uomo giusto non teme questo tremendo passo, perchè il suo transito altro non è che soave sonno di pace, principio di eterna gloria.

La provvidenza però permise, che lunga e dolorosa infermità sempre più appurasse una vita da tanta virtù distinta. Sul letto dei suoi dolori un gemito non s’intese, non un lamento, che palesasse l’interna angoscia, li molti suoi patimenti: sostenne in una parola, sempre con meravigliosa pazienza e fortezza d’animo, le dolorose sue infermità, e con una cristiana rassegnazione, di cui sono rari gli esempi.

Gli occhi non apriva, che per cercare e baciare il crocefisso suo Signore, e non iscioglieva le labbra che per invocare sopra di se le Divine Misericordie, per lodare e ringraziar quel Dio, che tanto amava ed era l’unico oggetto degli ardenti suoi voti, e per invocare la Vergine Santissima dei dolori, a cui Egli la più tenera divozione professava, divozione che in sì bel modo in tutta sua Diocesi diffuse.

Visitato, assistito, onorato, ammirato sin all’ultimo da’ suoi parenti, in ispecie da’ suoi nipoti Cav. Giuseppe Morozzo, e Contessa di Bernezzo, la quale da due anni le più affettuose cure gli prodigava, la più dolce figliale assistenza continua, non che da’ famigliari suoi, e da tutti quelli, che gli erano per dovere, per gratitudine devoti, volle tutti chiamare ad uno ad uno al letto, e colle più tenere affettuose parole, con que’ salutari avvisi, che cuor di padre non può tacere agli amati figli, prender commiato, invocando sopra di essi ripetutamente le celesti benedizioni. Ah! queste ultime e solenni parole mi staranno a caratteri indelebili scolpite nel cuore.

D’allora in poi i suoi pensieri più non furono che pel Cielo. La quiete del volto, la securtà del dire, la calma, la serenità, la pace, ed il coraggio, col quale si appressò al formidabile confine del tempo mostrano quanto pura fosse quell’anima, e quanto giusta e intemerata la vita.

Protestò che moriva tranquillo e contento, perchè sempre nella lunga e varia sua amministrazione rette erano state le sue intenzioni, e in ogni cosa unicamente aveva avuto di mira il bene e la giustizia.

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Impressi di una divozione commovente, sublime furono i supremi istanti, in cui egli commutava il secolo di quaggiù con l’eterno.

L’estremo suo passo fa massimo lume alle sue virtù. La memoria di lui durerà qual cominciò, incorrotta.

Perduta a grado a grado la favella, non la mente, il Cardinale Giuseppe Morozzo Arciv. Vescovo di Novara, dopo lunga, penosa agonìa, la mattina del giorno 22 marzo, spirò dolcemente nel Signore in età di anni 84 e giorni 10 fra il compianto e la costernazione universale d’ogni classe e d’ogni ordine.

Quanto splendore, e qual consiglio sia mancato nel Cardinale Morozzo all’Episcopato Piemontese, si può meglio sentire, che esprimere. La Chiesa ha perduto in Lui un illustre Porporato, la Società un uomo per ogni titolo ragguardevole, la Diocesi Novarese uno specchiato Pastore, il suo Clero, i poveri, gl’infelici un amoroso Padre.

Così ci continui quel magnanimo spirito dal celeste soggiorno il suo amore. La gratitudine dal nostro canto già scolpì in cuore il nome suo, i benefizi di cui ci fu largo, acciocchè egli viva pur sempre in noi colla memoria delle sue virtù.