Notizia bibliografica intorno alle Ultime lettere di Iacopo Ortis/II. Edizioni successive

II. Edizioni successive

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I. Prima edizione III. Traduzioni
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II. Edizioni successive

Non abbiamo potuto appurare se la ristampa uscita pochi mesi dopo (Milano, ottobre 1802) da’ torchi del Genio tipografico sia stata eseguita sul testo sovra copia manoscritta della prima edizione: siamo bensí stati accertati che il depositario degli autografi ha prestato il suo consenso, e assistenza al libraio, e che parecchie delle varianti che vi si veggono furono ordinate dalle circostanze de’ tempi: anzi pare che le circostanze abbiano dettato la protesta seguente, la quale si legge nel foglietto anteriore al frontespizio.

L’editore depositario degli autografi smentisce ogni edizione dissimile a questa, e segnatamente le tre anteriori al 1802: la prima, in due volumetti con un profilo in fronte, impressa in Bologna; l’altra recentemente in Torino; e la terza in un solo volume1 senza data di paese; perchè derivanti tutte da una edizione da lui intrapresa e per fieri casi interrotta, e abbandonata a uno stampatore, il quale fece mercantilmente continuare il libro e la stampa: ond’è che in quelle edizioni la vita dell’Ortis s’è convertita in romanzo, contaminando anche le sue poche vere lettere con barbare frasi e con note servili: ed, a scanso di nuove frodi, il rame del frontespizio attesterá l’autenticitá di questa edizione.

Raffrontando questa del Genio tipografico con la precedente edizione, trovansi molti divari; e di parecchi non è difficile il congetturarne i motivi. Così la lettera su la necessaria servitú dell’Italia2 non poteva essere pubblicamente letta, e che non provocasse lo sdegno e degl’italiani e de’ francesi ad un tempo, contro chi la avesse stampata. Inoltre, dove pare che l’Ortis diffidi della religione, hanno per lo piú lasciato intero que’ passi; dove invece pare ch’ei ne fidi, gli hanno tolti e mutati, forse per andare a versi a’ lettori d’allora, a’ quali ne’ libri non piaceva la religione. E questa superstizione di non inimicarsi i lettori fu talvolta sì puerile che alla esclamazione dell’Ortis: «Ah, vorrei pure innalzare sotto le ombre di quel gelso un altare!» hanno sostituito: «E il piú bel gelso che mai, e noi lo chiamiamo il nostro albero favorito»3. [p. 106 modifica] Forse s’è avuto riguardo anche alle persone contrarie agli increduli, alle quali si è temuto potesse rincrescere che la religione fosse profanata in un libricciuolo d’amore. I nuovi editori, corredando il volume del ritratto dell’Ortis solamente, hanno lasciato fuori que’ passi che alludono agli altri rami, i quali nella prima edizione vi stanno chiamati, per così dire, dal testo4. Una breve lettera dell’Ortis al padre di Teresa fu del tutto levata5; forse per sospetto che raffreddasse i lettori; mentre a noi pare che serva loro a farli penetrare piú addentro nel carattere d’un uomo, che, senza poter mai stare nel mezzo, trascorre per troppo vigore d’anima or all’estremo della ragione, ora all’estremo delle passioni. D’un passo d’un’altra lettera scritta a Lorenzo, i nuovi editori hanno fatto un biglietto a Teresa, e non molto avvedutamente; da che in que’ primi tempi l’Ortis (com’esso il ripete) non le aveva mai manifestato il suo amore, né pare che fin d’allora fosse in tanta dimestichezza con lei da darle del «tu»; il che si disdice non solo al decoro, ma altresì al contegno riservatissimo delle fanciulle in Italia: bensí alcuni mesi dopo egli assume i modi d’innamorato. Hanno inoltre accorciato la lettera, che l’Ortis innanzi di partirsi scrive a Teresa6, e altri luoghi qua e lá, forse per timore di lungaggini quando in vece lo stile del libro fu generalmente accusato di troppe reticenze. Parecchi vocaboli e modi di lingua parvero a’ nuovi editori, e sono per avventura, antiquati, insoliti e piú toscani che italiani; e li cambiarono forse in meglio, ma ad ogni modo contro alla mente e al carattere dello scrittore. Non si saprebbe congetturare perché mai abbiano rimutata la punteggiatura, e spezzati quasi sempre i periodi col segno di interruzione «...»; quando la prima edizione non l’ha neppur dove farebbe al caso, benché abbia spesso quest’altro segno «—», che si direbbe trascorso dalla penna affrettata, piuttosto che per avvertimento a chi legge. Con tutto ciò, all’edizione di cui parliamo rimangono non pochi pregi. È in complesso corrispondente alla prima; le cose mutate o accorciate, a chi non guardi un po’ sottilmente, paiono di poco momento; e se alcuno de’ tratti arditi [p. 107 modifica] ha levato via, moltissimi, e forse i piú arditi li ha conservati: inoltre è diligentemente corretta e assai nitida, e viene anteposta ad ogni altra; cosí che, quantunque consistesse di piú che mille e seicento copie, non è ora si agevole il potersene procacciare. Da essa poi derivarono le tante ristampe uscite negli anni successivi da vari luoghi d’Italia: nondimeno, per eludere la legge della revisione, diventata in appresso piú rigorosa, tennero quasi tutte la data del 1802; e, per illudere i compratori, s’appropriarono la protesta riportata dianzi. N’abbiamo sott’occhio dodici, oltre alla veneta e quella del Genio tipografico. Due sole dichiarano la tipografia: una è a grossi caratteri, per Zanotti Bianco in Vercelli; e l’altra, elegantissima, procurata in Londra dal signore Zotti, a cui se fosse stata nota l’edizione veneta, e se inoltre egli si fosse servito di migliore bulino, il pubblico gli sarebbe debitore del testo piú esatto insieme e piú nitido delle Ultime lettere. Quanto alle altre ristampe, benché il libraio, in cui nome scriviamo questa notizia, ci somministri i luoghi delle stamperie e cittá da dove gli sono arrivate, nondimeno a noi paiono cosí scorrette in sostanza e di sí deforme apparenza, e fatte, per aviditá di guadagno con molta fretta e fors’anche con maggiore ignoranza, da non meritare distinta menzione. Eccettueremo unicamente quella di Mantova, pubblicata sotto la data «Italia, mdcccii», e, quanto si poteva, imitarono il sesto, la carta, i caratteri e finanche il preciso numero delle pagine 244 dell’edizione milanese: se non che la contraffazione fu smentita e invilita dal troppo numero degli esemplari; tanto piú che il ritratto, disegnato la prima volta dal celebre artefice Longhi ed inciso lodevolmente dal Boggi, fu per la ristampa mantovana meschinamente rifatto. Onde per l’edizione che ora s’intraprende abbiamo consigliato al libraio che s’attenesse fedelmente alla prima; e, quanto agli errori di stampa e a’ sensi intralciati per difetto d’ortografia, procurasse di ridurla a migliore lezione, aiutandosi del testo del Genio tipografico.

  1. L’edizione prima.
  2. Vedi la lettera 17 marzo a p. 285 della nostra ediz.
  3. Vedi la prima delle tre lettere in data 14 maggio, su! fine, p. 308.
  4. Raffrontisi il ritratto dell’Ortis con la p. 320 della nostra edizione; il ritrattino del frontespizio [ediz. Londra, mdcccxiv] con la p. 234-35, [ib.] e la vignetta che sta sul principio [ib.] della prima lettera con la p. 221 [ib.].
  5. Pag. 83 di questo ii vol.
  6. Pag. 324 sgg.