Naja Tripudians/XXIX
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XXIX.
Lo capiva!... Quella donna lo capiva!...
A Myosotis parve di non avere che in quell’istante conosciuto il terrore. In fondo al suo cuore aveva sperato che quella non la comprendesse; si aspettava che dicesse:
«Paura? Ma di che cosa?».
Ma la donna.... aveva capito.
Allora con un grido sommesso Myosotis le afferrò le mani, le vesti, aggrappandosi a lei convulsa. Ma subito la serva si divincolò dalla sua stretta, e indietreggiando verso l’uscio, coll’indice sulle labbra, fece cenno a Myosotis di tacere; indi sparì, rapida come un’ombra, dietro le tende che drappeggiavano la porta d’uscita sul corridoio.
Perchè, perchè era fuggita così?
Myosotis si volse e sulla soglia della camera rossa vide Neversol che la guardava.
Lungamente egli contemplò quella figuretta atterrita, come un serpente fissa l’occhio ipnotizzante sull’uccelletto che sarà sua preda. Indi con un sorriso si avanzò, tendendole ambo le mani.
Ma in quell’istante un grido, un grido stridente, acutissimo risuonò per la casa.
Era la voce di Leslie. Il cuore di Myosotis si fermò.
Con un balzo fu fuori della stanza e nel corridoio e giù per la scala. Ma più di lei fu rapido Neversol; la raggiunse sul pianerottolo e con una ferrea stretta sul braccio la fermò.
— Lasciate stare.... — diss’egli, ansando un poco, — lasciate stare!... Ormai.... è inutile!
Myosotis lo fissò sbalordita, con gli occhi sbarrati, colla bocca aperta.... non poteva parlare....
— Andiamo! tornate su, — disse lui, spingendola davanti a sè e forzandola a risalire qualche gradino.
Myosotis parve ubbidire, indi con uno strappo subitaneo che sembrava doverle rompere il braccio, si svincolò da lui e balzò giù per la scalinata. Come una freccia traversò l’anticamera, la sala da pranzo, e spalancò l’uscio del salone. Vide subito Leslie, seduta sul divano accanto a Lady Randolph.
Era appoggiata indietro tra i cuscini e aveva gli occhi socchiusi. La piccola bocca rosea era semiaperta, e il suo viso non esprimeva nè terrore nè angoscia. Myosotis vide che intorno alle narici e sulle labbra aveva qualche traccia di polvere bianca.
Perchè aveva gridato? E che cosa le avevano fatto per calmarla così? Myosotis rimase un istante immobile accanto all’uscio; poi s’avviò trepida verso la sorella fissando in quel viso di bambina assonnata i suoi sguardi esterrefatti.
Dormiva, Leslie? Dormiva?...
No. Tra le palpebre semiabbassate, le pallide iridi celesti guardavano Myosotis; la guardavano, senza luce, senza espressione.
Misericordioso Iddio! che cosa avevano fatto a Leslie?
Myosotis la chiamò per nome; ma quelle iridi pallide, quelle pupille velate non ebbero un tremito.
Fu Lady Randolph che rispose. Sollevandosi dai cuscini disse con voce aspra a Myosotis: — Lasciatela stare. È stanca. — E col suo braccio nudo e profumato cinse il collo della fanciulletta. A Myosotis parve di vedere la sorellina chiusa nelle spire di una mostruosa serpe bianca.
Si guardò intorno, frenetica; sentiva d’impazzire. Incontrò lo sguardo dell’uomo grigio, seduto sul divano dall’altro lato di Leslie; vide Totò al pianoforte colla testa rovesciata all’indietro che suonava come un sonnambulo, con un vago sorriso sulle labbra; e, chino sopra di lui, l’uomo dai capelli rossi che canticchiava.
E laggiù, fermo sulla porta, stava Neversol.
Allora nacque in lei l’astuzia, l’astuzia femminile.
Fissando lo sguardo su Neversol, tornò rapida e tremante a lui e gli toccò la mano con una lieve carezza della sua piccola mano diaccia.
— Chiamate Lady Randolph! — sussurrò. — Allontanatela da mia sorella.... ch’io possa parlarle....
Neversol le affondò negli occhi le sue cupe pupille.
— E poi?... Sarete buona?...
Myosotis rispose a quello sguardo col vergine sguardo celeste.
— E poi.... sarò buona, — disse.
Neversol traversò a lunghi passi la sala e senza indugio prese pel braccio Lady Randolph.
— Venite via. Ho da parlarvi, — disse.
Milady lo guardò, stupita, quasi non comprendendo, ed egli ripetè in tono perentorio la sua richiesta.
Lady Randolph, sciogliendosi da Leslie — che rimase immobile nel suo atteggiamento di torpore tra i cuscini — si alzò e seguì il giovane nella sala da pranzo.
Allora Myosotis corse ad afferrare le mani inerti della sorella; e le sentì molli e sudate.
— Leslie!... Leslie!
A sua meraviglia, subito la fanciulletta si raddrizzò come desta da un sogno.
— Cos’hai? cos’hai?... dormivi? — ansò Myosotis. — Rispondimi! Parla!
Leslie si rizzò, tutta lunga e flessuosa, con una strana mossa di leggerezza ed elasticità; e si guardò intorno con gli occhi brillanti. Poi d’un tratto fissò in volto la sorella:
— Andiamo via — disse.
Lo disse con voce così piana e strana che Myosotis credette di aver mal compreso.
— Andiamo via, — ripetè Leslie sempre con quell’aria fra l’allucinato e il sonnambulesco.
In quel momento Totò e l’uomo rosso, dal pianoforte si volsero a guardarle.
— Biondine, biondine! Cosa complottate — gridò l’uomo rosso. E rise.
E subito rise anche Leslie, d’un riso strano, d’un riso di bambina e di baccante.
Myosotis impietrita di stupore la guardò, ma ella non cessò di ridere anche quando i due uomini ebbero ripreso a far musica.
— Ma Leslie! Leslie!.... Non hai gridato? — ansò Myosotis. — T’ho pur sentito gridare?... Perchè?
— Perchè?...
Leslie aggrottò le ciglia cercando di raccogliere i suoi pensieri.
— Aspetta.... sì. Ho gridato, — balbettò, tremula e incoerente. — Volevo seguirti, ma lui.... — additando Totò — non ha voluto. Mi ha chiuso la bocca con una mano, e coll’altra.... mi ha fatto fiutare di quella polvere.... non so, mi ha chiuso la bocca.... soffocavo.... ho respirato.... e la polvere m’è entrata nelle narici.... Allora ho gridato....
Sempre collo sguardo vacuo e scintillante, Leslie si toccava la faccia, la fronte, la bocca.
— È strano.... ho qui un senso strano.... Non sento più niente.... come fosse tutto tramortito... — Fece qualche passo avanti, dei passi lunghi e lievi: — E poi, quando cammino.... non so.... mi pare di camminare sull’ovatta.... già! mi pare di camminare su tante morbide nuvole d’ovatta....
E rise di nuovo, con quel riso stravagante che a Myosotis gelava il sangue nelle vene.
— Leslie! Leslie! — singhiozzò quella; e le lagrime le sgorgarono dagli occhi.
Leslie si scosse. La vista di quel pianto parve ricondurla in sè. Improvvisamente si piegò verso Myosotis.
— Chiama aiuto! — disse con voce ansante, — chiama aiuto. Fa presto!
— No! Ti porto via con me, — esclamò Myosotis, disperata, tentando di trarla verso l’uscio.
— È inutile! è inutile.... Non mi lasciano uscire di qui! — sussurrò Leslie, febbrile e rapida. — Se a te riesce di uscire, va! Chiama aiuto!
Myosotis ristette un attimo a guardarla, indi si slanciò verso la porta della sala da pranzo; ma si trattenne a tempo ricordandosi che ivi si trovavano Neversol e Lady Randolph. Rapida e silenziosa tornò indietro e corse verso l’altra stanza, la stanza quasi buia dove stava sdraiato Dafne Howard.
Sulla soglia si volse ancora un attimo a riguardare Leslie. La fanciulletta pareva dormire, riversa nelle sue chiome sciolte che l’ammantavano di luce fino ai ginocchi.
Aveva gli occhi chiusi. E sorrideva.