Naja Tripudians/XXX
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XXX.
In un balzo Myosotis traversò quella stanza crepuscolare che l’oppio riempiva di un vapore denso e dolciastro, e, scansando la lunga figura supina, aprì l’uscio e si trovò in un corridoio che dava nella sala d’ingresso.
E là, nell’anticamera, seduta accanto al focolare, calma, corretta e composta, stava la vecchia cameriera, pronta ad aprire la porta agli illustri ospiti attesi.
Myosotis non pronunciò sillaba; cogli occhi stralunati, colle braccia tese come ad invocare da lei il silenzio, le passò dinanzi e strisciò, silenziosa come un’ombra, verso la porta d’ingresso. Con frenesia cercò la serratura....
La donna non si mosse; il suo sguardo acuto seguiva le movenze di quella figuretta brancolante intorno al chiavistello, poi i suoi occhi vagavano verso l’uscio socchiuso della sala da pranzo donde giungevano, in un sommesso mormorio, le voci di Lady Randolph e di Neversol.
Myosotis in preda a un terrore folle sentì che non poteva aprire la porta.
Allora ritraversò l’anticamera e cadde a ginocchi davanti a quella donna. Senza pronunciare una parola — per paura che la udissero! — la implorò, la scongiurò, afferrandole le mani, premendosele al cuore, agli occhi, alle labbra.... muta invocò Iddio e i Santi a commuoverla, a toccarle l’anima....
Ed ecco che alfine, rigida, sonnambulesca, quasi mossa da una forza superiore al suo volere, quella donna si alzò.
Andò alla porta. Colle mani esperte e silenziose premette, sospinse, girò....
La porta era aperta!