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IX XI

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Arrivata alla Villa delle Acacie Lady Randolph Grey entrò rapidamente nel vasto atrio adorno di grandi piante d’azalea e di palme. Sdraiato e sbadigliante, coi piedi issati sul bracciolo del divano, giaceva colui che per Wild-Forest era il «principe di Galles».

— Che fai, Totò, my darling? — chiese la bella signora. — Come mai sei qui?

— Gli altri idioti giocano al croquet, — disse Totò in uno sbadiglio.

— E t’hanno lasciato così solo? — Sdegnata Lady Randolph Grey si avvicinò alle vetrate aperte: — Carla!... Clorinda!... dove siete?

— Ti prego di non chiamare quelle giraffe, disse il «principe di Galles», — ne sono sazio e saturo, e mi escono da tutti i pori.

— Ma almeno Gerardo poteva restar qui a [p. 65 modifica] farti compagnia, — disse la signora, posandogli sui morbidi capelli biondi una mano guantata.

Egli ritrasse con impazienza il capo. — Non parlarmi di Gerardo. Se non sapessi ch’è un rimbambito direi che è un degenerato. Quelle donne gli piacciono! È incredibile!... — E Totò rabbrividì come a un pensiero immondo.

Lady Randolph sorrise e gli sedette accanto.

— Adorato Totò, sei di cattivo umore?

L’adorato Totò non rispose.

— E Moses? — chiese la signora, volgendosi a guardare un enorme gatto bianco, che gonfio e torpido sul tappeto, russava come un vecchio signore troppo pingue. — È contento?

— Sì, sì; è contento, — disse il giovane, imbronciato; — ma se non ero io, nessuno ci pensava.

E alzandosi e stirando le lunghe membra, traversò la chiara e vasta sala e si affacciò alla vetrata.

— Cos’è accaduto, Totò, per infastidirti così? — chiese Lady Randolph seguendolo alla finestra.

J’ai le cafard, — rispose Totò.

— Ma perchè?

— Perchè sono stucco e stufo. [p. 66 modifica]

— Non di me, — fece Milady, appoggiandosi con tenerezza al suo braccio.

— Di te, sì, di te! E delle giraffe, e di Gerardo, e di Moses, e di quanti siete. Mi uscite da tutti i pori.

— Totò! Totò! non dir questo — ansò Lady Randolph e il suo ampio petto fluttuò come un mare in burrasca. — Sai che mi fai pena parlando così! Del resto, — soggiunse, — le giraffe, la settimana scorsa, ti erano pur piaciute.

— E perciò? Devono piacermi per tutta la vita? — sogghignò il giovane con amara ironia. — Bada che ti preavviso: uno di questi giorni.... «tatà, Totò!» — E fece cenno d’addio colla mano.

— Ma che cosa dici?

— Sì, sì. È finita. Vado al Giappone col mio amico Collins. Vado a Yokohama, dove le donne non si pettinano che una volta all’anno, non parlano mai, e dormono vestite.

Indi sciogliendosi impaziente da lei, uscì colle sue lunghe gambe snelle, nel giardino.


A colazione Totò non volle parlare che di Yokohama e Tokio e, al domestico che gli porgeva i piatti, diceva: — Sayonara! — con [p. 67 modifica] affabile dignità. A dir vero era incerto se quella parola significasse «grazie» o «buonanotte»; ma poichè nessuno degli altri lo sapeva....

— Mi sento male, — disse Lady Randolph Grey a metà colazione; e depose sulla tavola il tovagliolo.

Le giraffe e il «Duca di Norfolk» emisero qualche inarticolato suono di rammarico; il «Principe di Galles» arricciò il fine naso in una espressione d’incredula noncuranza.

La bionda signora uscì maestosamente dalla sala da pranzo, come una bella paranza a vele spiegate, e si ritirò nella sua camera. Chiamò Lucy a chiudere le imposte; si mise a letto e diede ordine che nessuno la disturbasse.

E sola, nel buio, Lady Randolph Grey pensò.

Pensò che Totò le sfuggiva: Totò, il divino Totò, fine e raffinato e depravato e complicato; Totò, che tutte le sue amiche le invidiavano e tutti i suoi amici detestavano; Totò, che le teneva luogo di tutte le perfide femmine e di tutti i brutali maschi che nel passato ella aveva conosciuto e amato e odiato.... Totò, il serafico e satanico Totò, le sfuggiva.

E se Totò le sfuggiva, la vita non valeva più [p. 68 modifica] la pena di essere vissuta. Bisognava ad ogni costo trattenere Totò! Bisognava con qualsiasi mezzo divertire e distrarre Totò.

Era difficile divertire Totò, che, per essersi già molto divertito non si divertiva più di niente. Tutto, secondo lui, gli «usciva dai pori». Le donne, gli uomini, i teatri, i cafè-chantants, l’arte, la musica, la danza, la cocaina, lo champagne, i vizi strani.... tutto gli «usciva dai pori». Ogni calice era già stato profferto alle sue labbra arcuate e sdegnose.

Mio Dio, mio Dio! Bisognava cercare qualche cosa di nuovo per Totò!

E che cosa c’era di nuovo al mondo? Nulla. Nulla, e nessuno. Assolutamente nessuno. Tutti e tutte avevano già detto tutto a Totò. E tutti e tutte non avevano che la stessa cosa da dire.

Ah, trovare per il tediato Totò qualche cosa d’inedito, qualche cosa ch’egli non conoscesse ancora!... Impedire che Totò pensasse ad andare a Yokohama!

Passò un’altra mezz’ora; indi Lady Randolph sporse dal letto il braccio morbido e un po’ sudato, e suonò il campanello.

Lucy comparve subito.

— Milady ha suonato? [p. 69 modifica]

— Voglio il dottore, — disse Milady.

— Se Milady comanda, — disse Lucy, — manderò subito lo chauffeur a chiamare il dottor Methuen.

— Non voglio il dottor Methuen, — disse Milady. — Voglio quell’altro dottore. Come si chiama?... Harding.

Lucy si stupì. — Oh; ma è vecchio quello, Milady! Non ha più nessuna clientela. Pare che non sappia guarire che le morsicature dei serpenti a sonagli. E poichè, — soggiunse l’ancella con inesorabile logica, — dei serpenti a sonagli qui non ce n’è, così nessuno lo manda mai a chiamare.

— Lo mando a chiamar io, — rispose Lady Randolph Grey. — Dite a Peter che vada subito. E tu, vieni a farmi le treccie e a darmi l’accappatoio celeste.