Che ’l romano populo non usurpò, ma di ragione prese lo ’nperio sopra tutti e mortali.
Dico adunque a questa quistione che ’l romano populo nonn–usurpò, ma di ragione prese lo ’nperio sopra tutti e mortali. Questo così si pruova: e’ si conviene al populo nobilissimo d’essere preposto sopra gli altri; el popolo romano fu nobilissimo; adunque a ·llui si convenne essere preposto agli altri. Conc[i]osiaché lo honore è premio della virtù, et hogni prelatione è honore, seguita adunque che ogni prelatione è premio di virtù. Ed è manifesto che pel mezo della virtù gli huomini si fanno nobili (dico della virtù propia ho della virtù de’ sua antinati). Perché la nobiltà è virtù con antiche riccheze, come dice
Aristotile nella Politicha. Et
G[i]ovinale dice: «La nobiltà dello animo è la virtù sola». Le quali due sententie si riferiscono a due nobilità, alla propia et a quella degli antinati. Adunque a’ nobili, per ragione della chagione, è conveniente il premio della prelatione. Et avendosi a misurare premi co meriti, secondo el detto dello Evangelio «Con quella misura ch’avete misurati altri sarete misurati voi», di qui seghuita che al massime nobile si conviene massime essere preposto. Questo confermano et testimoniano gli antichi; perché il divino poeta
Virgilio in tutta l’Eneyde manifesta che ’l gloriosissimo re Enea fu padre del popolo romano; et questo testimonia Tito Livio nel primo libro, che pigl[i]a prencipio dalla chattività di Troya. Et di quanta nobilità fusse quel padre invittissimo et piissimo, non solamente considerata la virtù sua, ma degli antinati et della donna (la nobiltà de’ quali per ragione ereditaria in lui si trasferisce), isprichare mai non lo potrei, sicché ne parlerò in somma. Adunque, quanto alla nobiltà sua propia, ascolta Virgilio nel primo, come introducie Ilioneo così horante: «El re nostro era Enea, del quale nessuno mai fu più g[i]usto, né più pio, né in battaglie d’arme mag[i]ore». Ancora nel sesto, quando parla di Miseno morto, ch’era stato ministro d’Ettorre in battaglia, et dopo la morte di Ettorre s’era fatto ministro di Enea, dice che Miseno «non seguitò huomo inferiore al primo»; et in questo fa conperatione da Enea a Ettorre, el quale Homero sopra gli altri avea glorificato, come riferisce
Aristotile A Nicomaco. Et quanto alla nobilità ereditaria, c[i]ascuna parte della terra tripartita, quanto agli avoli et alla donna, l’ha nobilitato. L’Asia nobilitò e propinqui suoi avoli, et Assaracho et gli altri che regniorono in Frigia, che è parte della Asia; onde Vergilio nel terzo dice: «Poiché piaque agli iddii rivoltare le cose di Asia, et la gente di Priamo non colpevole». L’Europia nobilitò l’antichissimo avolo Dardano, et l’Africha li nobilitò l’avola antichissima Eletra, nata del re Atrante, come d’amenduni parla il poeta nello ottavo, ove Enea così parla ad Evandro: «Dardano, primo padre della ciptà Iliaca, il quale, come e Greci dicono, d’Electra et del figliuolo d’Atrante fu generato; di costui dipendono e Troyani, et Eletra dipende dal massimo Atrante, che ·ccolle spalle sostiene le spere del cielo». E ·cche Dardano avesse origine da Europa, Virgilio nel terzo così dimostrò: «Egli è uno luogho, che da’ Greci è detto Esperia, terra antiqua et potente inn–arme et fertilità; Enotri l’abitorono; e discendenti poi la chiamarono Ytalia, dal nome del duca loro. Queste sono a voi le propie sedie, di qui è nato Dardano». E ·cche Atrante fusse della Africha, lo manifesta uno monte d’Africha che è chiamato Atrante; el quale che sia inn–Africha testimonia Horosio così nella descritione del mondo: «L’ultimo fine suo è el monte Atrante et le ysole chiamate Fortunate». Ancora fu nobilitato per matrimonio. La prima sua moglie Creusa, figliuola del re Priamo, fu d’Asia, come di sopra si vede. E ·cch’ella fusse donna sua mostra Vergilio nel terzo, hove Andromacha così domanda Enea del suo figliuolo Ascanio: «Dimmi, Enea, vive el tuo figliuolo Ascanio, el quale ti partorì Creusa, quand’e’ fioriva Troya?». La seconda moglie fu Didone, regina et madre de’ Cartagínesi in Africha; et che fussi moglie dichiara Virgilio nel quarto: «Didone non pensa di furtivo amore, anche lo chiama matrimonio, e con questo nome coprì la colpa sua». La terza donna fu Lavinia d’Albina, madre de’ romani, figliuola del re Latino edd–erede, se dicie el vero Vergilio nel’ultimo, Iove induce Turno vinto così parlante ad Enea: «Tu hai vinto, et gli Ausoni hanno veduto me vinto a ·tte sottomettermi. Lavinia è tua moglie». La quale hultima moglie fu di Ytalia, nobilissima regione della Europia.Per questo è manifesto che ’l padre del popolo romano dal lato masculino et feminino fu nobilissimo, et similemente el popolo da ·llui discendente.