Monarchia/Libro II/Capitolo IV

Libro II - Capitolo IV

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Dante Alighieri - Monarchia (1312)
Traduzione dal latino di Marsilio Ficino (1468)
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Che quello che alla perfetione sua è aiutato da miracoli è da Dio voluto.

Q[u]ello etiandio che alla perfetione sua è aiutato da miracoli, è da Dio voluto; e però è per ragione. E che questo sia vero, così si manifesta, come dice santo Tomaso nel terzo Contro a’ Gentili: miracolo è quella cosa che per divino vighore aviene fuori dello ordine comune delle cose. Honde lui pruova che ’l fare miracoli solo a Dio s’appartiene; la quale cosa si conferma con l’autorità di Moysè, el quale dice che, quando si venne a l’operare de’ segni, e magi di Faraone, che artificiosamente usavano e naturali principii, mancorono et dissono: «Questo è il dito di Dio». Se adunque il miracolo è inmediate operatione del Primo principio sanza la hoperatione de’ secondi fattori, come santo Tomaso inn–esso libro sufficientemente pruova, quando si distende in favore d’alcuna cosa, non è lecito dire che quello a ·cchui dà Iddio tal favore non dependa da Dio, come cosa a ·llui piac[i]uta et da ·llui proveduta. Per la qual cosa è licito concedere el suo contrario: el romano inperio alla perfetione sua essere stato da miracoli aiutato; adunque Iddio così ha voluto; e però fu ed è secondo ragione. Et che, per crescere lo ’nperio romano, Iddio abbi dimostro miracoli, si pruova per testimonio di degni autori. Inperò che sopto Numa Ponpilio, secondo re de’ Romani, mentre che sagrificava secondo el costume de’ Gentili, uno schudo cadde dal cielo nella ciptà elepta da Dio, come testimonia Livio nella prima parte. El quale miracolo Lucano raccontanel nono libro, quando tracta della forza incredibile del vento Austro che regnia in Libia, dove dice in questo modo: «di quelle arme che caddono a el sacrificator Numa, le quali la gioventù eletta col patritio collo portò; aveva el vento Austro, overo Borea, spogliati e popoli che portavano queste nostre arme». E conciosiache’ Franc[i]osi, preso g[i]à el resto della ciptà, confidandosi nelle tenebre della nocte, nascosamente entrassino nel Canpidoglio, la quale cosa sola restava alla ultima distrutione dello inperio romano, dice che l’oche, non mai pel passato quivi vedute, cantarono che’ Franc[i]osi erano quivi presenti, e destorono le ghuardie a difendere el Canpidoglio; e questo testimonia Livio et altri degni scriptori. Questo ancora raccontò Virgilio nello ottavo, discrivendo lo scudo d’Enea, dove parla così: «Nella somma parte stava Mallio, difensore della roccha Tarpea, dinanzi al tenpio, e difendeva l’alto Capitolio, et la reale casa di nuovo fatta era aspra di paglia romulea. E qui la biancha hocha, volando negli portichi dorati, cantava che’ Franceschi erano presenti». Ancora, quando la romana nobilità, assediata da Anibale, rovinava in tal modo che all’ultima distrutione della romana repubricha non restava se none lo assalto degli Africani nella ciptà, acchadde che per la subita et intollerabile gragniuola gli Africhani vincitori non poterono loro vittoria seghuire, e questo scrive Livio nella Africhana battaglia. Hor non fue egli mirabile cosa el transito d’Oratio Cocle, quando la donna, presa nello assedio di Porsenna, ruppe e leghami et per aiuto di Dio passò notando el Tevero, come gli scriptori romani quasi tutti per gloria di quella ciptà narrano? E ·ccosì si conveniva operare a ·cColui, el quale ab etterno con bello hordine tutte le cose provide, acciò che ·ccolui ch’era invisibile, avendo a mostrare miracholi per le cose visibili, diventasse visibile, et per quelle le invisibili dimostrasse.