Mitologia del secolo XIX/XVI. Cerbero
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XVI. CERBERO.
Molte furono le fatiche che d’Ercole si raccontano a purgare la terra da’ mostri, e far luogo alle virtù da potervi allignare. Chi de’ poeti ne cantò una, e chi altra. A me piacerebbe di preferenza, indovinate mo quale? l’aver legato la brutta bestiaccia dalle tre gole, che incessantemente latrando alle porte d’inferno, introna siffattamente l’orecchie ai dannati ch’esser vorrebbero sordi.
Il buon padre Enea, veramente da quel buon uomo che egli era, turò le canne bramose con una focaccia, e il gran padre Allighieri, anima alquanto meno sofferente della troiana, con una manata di fango raccolto in fretta da terra. Dicesi che questa seconda pillola facesse il suo effetto meglio assai della prima, e che Cerbero se ne senta tuttavia impacciate le fauci, tanto che il poeta divino potrebbe dormire tranquillamente, se non fossero gli abbaiamenti de’ commentatori.
Ma più commendevole d’ogni altro modo mi sembra quello di tirare fuori del suo covaccio la sconcia belva, e costringerla, se le dura il talento, ad abbaiare all’aperto. E così fece l’antico domatore de’ giganti e de’ mostri, per cui gliene rendo lodi senza fine. In fatti con ciò ha mostrato di bene intendere ove sia la sede della malignità e dell’arroganza, ch’è appunto l’inferno, e di che principalmente si giovi, che sono appunto le tenebre e l’aura morta delle sotterranee regioni.
Riferendo, come sono solito, i fatti della mitologia a significazione moderna, ecco qui una bella lezione, e praticabile assai facilmente da chi voglia farsi beffe della perfidia e della petulanza de’ Cerberi, che non sono pochi a questo mondo. Tirarli fuori de’ loro nascondigli, metterli alla luce del sole, e là gridar loro: ora che sei in pieno lume, abbaia cane!
Anche costoro di che vi parlo hanno tre gole, non tanto perchè una non fosse bastante a mandar fuori la voce occorrente per farsi udire, quanto per poter adoperare ora l’una, ora l’altra, secondo il bisogno, e articolare diversi suoni. Tre bocche necessarie a dir male? Una è soverchia. Quando trattasi di ascoltare mormorazioni e censure le orecchie si moltiplicano maravigliosamente, anche i sordi intendono a perfezione. Sono dunque i nostri Cerberi provveduti di tre gole, come diceva, per potere all’uopo mutar linguaggio, e rispondere tuttavia a chi gli rimproverasse: questa mia bocca ha detto sempre la cosa stessa. E rispondono il vero, perchè quando dissero tutt’altra cosa il fecero con l’altra bocca.
L’Allighieri che conosceva benissimo la natura di tali Cerberi dalle tre gole, ci aggiunse del suo una pennellata maestra, dicendo che non tengono mai membro fermo. Così è, quando sono ridotti a mal partito ti scappano; credi averli afferrati; ma e’ sguizzano peggio che anguille e ti lasciano il pugno pieno di vento. Sicchè, tra per le tre bocche, e pel loro discorso sempre equivoco e sibillino, non t’è possibile mai di confonderli come meritano. A ciò tutto pensando, un grande rimedio, anzi il solo, si è quello di trarli in piena luce. Finchè sono al buio non si può vedere che bocca sia quella che muovono a favellare, e incalzati che siano, con più facilità se la battono. Ma come il raggio del sole dà loro negli occhi non sono più tanto franchi a spacciare le loro menzogne, e corrono rischio che una valida mano faccia loro sentire tale stretta da cui non possano liberarsi.
Tra le tenebre d’inferno e gl’incomposti tremori di Cerbero ponete i se, i ma, i peccato che, i so ben io, i se volessi parlare, e tutte le altre reticenze ribalde adoperate dall’astuta calunnia a truffare la fede degli scimuniti. Voi allora, anzichè perdervi per quelle tenebre, e ricorrere alla focaccia melata, date coraggiosamente addosso al mastino, e traetelo a latrare al chiaro. Che se? Che ma? Che peccato? Dica, dica francamente, garbato signore, o signorina garbata. Abbiamo anche noi ugne e zanne che si dilettano di straziare il prossimo. Dica pure, siamo qui anche noi per tenerle compagnia nel caritatevole uffizio.
Una delle due; o Cerbero ammutolisce, o ti snocciola una bugia che il trae per allora d’impaccio, ma ti dà il modo di convincerlo del suo malvagio talento la prima volta che torni ad imbatterti in esso. I Cerberi più provetti sono quelli che prima di latrare si guardano bene d’intorno, per vedere se le tenebre siano fitte abbastanza, o se ci sia alcuno che possa trascinarli, loro malgrado, all’aperto.
Ciò che io dissi dei ma, dei se, e dell’altre delizie del parlare coperto, facilmente s’intende riferibile anche ai risolini, alle lievi scosse di testa, al fingere lo sbadato, e altri tali. Se in ciò non regge l’allegorie delle gole che latrano, calza a meraviglia l’irrequietudine delle membra sapientemente immaginata dal nostro divino. Il trarre all’aperto siffatti Cerberi è maggiore fatica, ma tuttavia con desterità e con buon cuore ci si riesce.
Chi giunge a turare una bocca calunniatrice può bene applaudirsi più ancora che se avesse, come Ercole, nettate le stalle d’Augia, o posto a giacere il Leone nemeo.