Pagina:Prose e poesie (Carrer).djvu/113


105

A ciò tutto pensando, un grande rimedio, anzi il solo, si è quello di trarli in piena luce. Finchè sono al buio non si può vedere che bocca sia quella che muovono a favellare, e incalzati che siano, con più facilità se la battono. Ma come il raggio del sole dà loro negli occhi non sono più tanto franchi a spacciare le loro menzogne, e corrono rischio che una valida mano faccia loro sentire tale stretta da cui non possano liberarsi.

Tra le tenebre d’inferno e gl’incomposti tremori di Cerbero ponete i se, i ma, i peccato che, i so ben io, i se volessi parlare, e tutte le altre reticenze ribalde adoperate dall’astuta calunnia a truffare la fede degli scimuniti. Voi allora, anzichè perdervi per quelle tenebre, e ricorrere alla focaccia melata, date coraggiosamente addosso al mastino, e traetelo a latrare al chiaro. Che se? Che ma? Che peccato? Dica, dica francamente, garbato signore, o signorina garbata. Abbiamo anche noi ugne e zanne che si dilettano di straziare il prossimo. Dica pure, siamo qui anche noi per tenerle compagnia nel caritatevole uffizio.

Una delle due; o Cerbero ammutolisce, o ti snocciola una bugia che il trae per allora d’impaccio, ma ti dà il modo di convincerlo del suo malvagio talento la prima volta che torni ad imbatterti in esso. I Cerberi più provetti sono quelli che prima di latrare si guardano bene d’intorno, per vedere se le tenebre siano fitte abba-