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stanza, o se ci sia alcuno che possa trascinarli, loro malgrado, all’aperto.

Ciò che io dissi dei ma, dei se, e dell’altre delizie del parlare coperto, facilmente s’intende riferibile anche ai risolini, alle lievi scosse di testa, al fingere lo sbadato, e altri tali. Se in ciò non regge l’allegorie delle gole che latrano, calza a meraviglia l’irrequietudine delle membra sapientemente immaginata dal nostro divino. Il trarre all’aperto siffatti Cerberi è maggiore fatica, ma tuttavia con desterità e con buon cuore ci si riesce.

Chi giunge a turare una bocca calunniatrice può bene applaudirsi più ancora che se avesse, come Ercole, nettate le stalle d’Augia, o posto a giacere il Leone nemeo.


XVII. SALMONEO.

Era Salmoneo figliuolo di Eolo e regnò sopra l’Elide. Ciò che gli acquistò fama per tutti i secoli si fu la pazza arroganza con cui studiossi d’imitare Giove fulminatore. Si foggiò un carro sopra il quale scorreva il paese, e fattosi circondare da non so che apparenze maravigliose, studiavasi d’impaurire le genti ed averne a questo modo gli omaggi stessi che solevansi tributare agl’Iddii. A due riflessioni mi conduce questa mitologica fola. In primo luogo, vedi, dissi fra me, che a volere essere scambiato per Giove nien-