Mitologia del secolo XIX/I. Narciso
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I. NARCISO.
Bada al Narciso che passa, mi disse l’altrieri, tentandomi di costa, un amico, col quale camminava la piazza. Giro l’occhio a guardare su quante persone più posso, e davvero non ce ne trovo nessuna alla quale riferire quel detto. Figuratevi! era appena terza; in quell’ora i Narcisi fanno tutt’altro che camminar per le strade; quella è ora da uomini da faccende, che portano il carico della vita, e mangiano il pane dell’esilio bagnato dal sudore della loro fronte. Alle faccende de’ Narcisi non occorre l’occhio del sole, e vanno più volentieri attorno la notte. Dissi adunque all’amico: che Narciso? io non so di chi mai tu mi voglia parlare. E l’amico: non vedi in quel canto quell’uomo inferraiuolato, che appunto adesso si è fermo a discorrere con quell’altro, che allunga il collo e strigne gli occhi maliziosamente, a borbottargli non so che nell’orecchio? Ben lo veggo, risposi; ma che ha ella a fare con Narciso quella faccia di usuraio, ruvida e gialla come le monete, che, pochissimo maneggiate, tiene sepolte ne’ suoi scrigni? — Quegli è appunto il Narciso di cui ti parlo, e che t’invito a vedere. — È forse siffatto il nome ch’egli ebbe a battesimo? In quel caso, il padrino fu poco profeta. — No; si chiama, credo, Bastiano. — E tu per qual capriccio lo hai nominato Narciso? Forse per quel suo colore di croco? — No, ma per la rassomiglianza de’ suoi sentimenti a quelli che sono attribuiti dalla favola al giovinetto che si specchiava nella fonte. — Per verità siamo soliti di chiamare Narcisi quei giovanotti, che, tutti intenti a lisciarsi nell’esteriore, lasciano sospettare che loro non resti poi tempo da badare all’interno, e pei quali potrebbesi credere che il giornale delle mode fosse assai più importante del manuale d’Epitteto, o della tavola di Cebete. — Che rancidumi! La favola di Narciso considerata a questa maniera è quel di più insulso che si possa dare. Pigliamo, amico mio, le cose un poco più largamente. Sai tu quali sono i veri Narcisi? Sono gli egoisti; sono questi i veri innamorati di sè, che nel fiume della vita, che loro passa davanti, guardano soltanto la propria immagine, e le fanno vezzi e moine a tutte l’ore. Quel signor Bastiano inferraiuolato può dirsi il tipo di tutta la razza. Bruci pure la casa di quello ch’egli chiama suo amico; crederebbe male speso quel poco del proprio fiato che ci volesse ad ammorzare l’incendio. Solamente, saranno due anni, s’è visto sbalzare in piedi di notte, ed uscir sulla strada a chiamare soccorso, perchè appunto la casa d’un suo amico bruciava. E le belle massime di carità che l’egoista sciorinava in quell’ora! Lo avresti detto marcito nello studio del Vangelo e dei Padri. Ma la casa dell’amico era molto vicina alla sua, e di qui, puoi ben credere, tutto il fervor del suo zelo. Fu rappresentato da non so qual pittore l’emblema dell’egoismo in un tale, a cui occorrendo a chiudere un buco delle proprie calzette quell’unico filo di seta che sosteneva la terra, dà l’animo di tagliarlo, e provvedere al difetto della toilette colla rovina del mondo. Ed io crederei, che se a far compiuta la propria parrucca mancasse a taluno di questi Narcisi quell’unico aureo capello, a cui finsero talvolta gli antichi stesse attaccata la vita delle persone, egli non si rimarrebbe dal tagliarlo su qualunque testa il trovasse, fosse pur quella di sua madre. L’emblema immaginato da quel pittore ha questo ancora di buono, che mette l’egoista fuori del mondo, quale egli appunto si trova coi suoi pensieri, considerando egli sempre sè stesso come affatto disgiunto da tutti gli uomini e da tutte le cose.
Questo immoderato amore di sè assume diverse sembianze, e si colora per guise infinite. La maschera sotto la quale è più difficile riconoscerlo sono certe passioni che domandano, di loro natura, una specie quasi diremo di abbandono in chi n’è investito. Quante volte quello che crediamo mansuetudine, arrendevolezza, misericordia, amore, ambizione, liberalità, non è che egoismo! Egoismo di chi non contraddice per non abusare la forza de’ proprii polmoni, di chi si tien fuori dai partiti per pura accidia, di chi ama o regala perchè gliene venga, non foss’altro, riputazione. E non credere, amico mio caro, che io voglia con questo alzar cattedra di malignità; e condannare il genere umano a vivere continuamente angustiato dalla trepidazione e dalla diffidenza. Per poco non dico ch’egli è meglio in questo caso farla da Narcisi, e per compassione di noi stessi e della nostra misera razza, contentarsi dell’aspetto esterior delle cose, senza punto badare alla sostanza. Se mai colle mie parole ti avessi reso il brutto servigio di seminarti nell’anima alcun poco di quella maledizione che si chiama sospetto, mi sforzerò liberartene in qualche guisa, assicurandoti che questi cotali, innamorati di sè medesimi, possono essere riconosciuti ad alcuni segnali che appariscono distintamente anche traverso la ipocrita nebbia che li circonda. Ciò che disse assai acconciamente quel savio monarca della modestia affettata, la quale si chiude, sì, tutta nel manto, ma per non esserle proprio, conviene che se lo trascini dietro qualche buon palmo, può dirsi con pari acconcezza di tutte l’altre affettate virtù. Quando ascolti certe miracolose promesse, sta certo ch’egli è un labbro di Narciso che le pronunzia; certi cuori che sdilinquiscono al solo proferire di un nome, al solo ricordare di un sito, sono cuori di Narciso, te ne fo fede. In generale, ove c’entra esagerazione non c’è virtù, perchè questa cammina riposata e sovra i suoi piedi, laddove a chi vuol vestirne la maschera è bisogno trasmodarsi negli atti, e andarne sui trampoli. Se mai t’imbatti in Crescenzio, Crescenzio dico (quel tale che narra la fama aver le mani forate da lasciar piovere l’elemosina anche su chi non la chiede, e la lingua, che gli si apprende al palato, rasciutta nel dar consigli e nell’accomodare litigii); avvia un poco il discorso con esso; provati se ti basta l’ingegno a trovare argomento che non sia il suo. Sarà prodigio ch’egli ti ascolti fino al termine della tua narrazione; o quando credi ch’egli ti ascolti, il cervello gli va a spasso a pensare se nulla di simile gli sia succeduto. Se poi all’amore di sè medesimo aggiunga un poca d’inclinazione per la bugia, mentre parli si studierà di congegnare per modo quel fatto da poter raccontarlo, quando che sia, in persona propria di attore, o per lo meno di testimonio. Sono sicuro che questo dialogo ti riuscirà assai noioso, appena avrai spremuto da esso quel poco di gusto che deriva dall’osservare come le passioni degli uomini si rivelano da sè stesse anche sotto la finta veste che le ricopre. Qui l’amico terminò di parlarmi in proposito dei Narcisi, e qui termina per conseguenza la relazione del mio colloquio. Mi parve che l’amico avesse ragione, e dopo quel giorno, più assai che ai Narcisi della zerbineria, tengo l’occhio ai Narcisi dell’altra specie che mi vengono innanzi continui ed innumerabili.