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minò di parlarmi in proposito dei Narcisi, e qui termina per conseguenza la relazione del mio colloquio. Mi parve che l’amico avesse ragione, e dopo quel giorno, più assai che ai Narcisi della zerbineria, tengo l’occhio ai Narcisi dell’altra specie che mi vengono innanzi continui ed innumerabili.


II. RE MIDA.

La favola dell’avaro monarca di Frigia, chi volesse ridurla a prettissima storia, è la seguente. Fu in una città di questo mondo, un uomo, vir quidam, al quale essendo passata buona parte della giovinezza tra le illusioni di un’anima ingenua e confidente, saltò in capo di rifare la propria natura, e spassionarsi di quelle allettatrici apparenze che gli aveano cagionate tante perplessità e tanti affanni. Compreso il cervello da questo disegno, s’imbattè in un filosofo, che se ne andava pettoruto per via, come appunto il Sileno della favola, scontrato da Re Mida nel bosco a ridosso il giumento. E come il buon vecchio dalla modesta cavalcatura rimeritò le cortesie usategli da Re Mida, con accordargli l’adempimento della pazza domanda che questi gli aveva fatta, che tornassegli oro tutto quello a che poneva le mani; parimente il filosofo accondiscese alla domanda di quel nostro tal uomo, non meno pazza dell’altra, dandogli modo a torsi dal capo tutte le illusioni, e a vedere le cose di questo