Mitologia del secolo XIX/Introduzione
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Mitologia del secolo XIX | I. Narciso | ► |
INTRODUZIONE.
Molto ragionevolmente i poeti de’ nostri tempi si collegarono a sbandire dai loro versi gli enti mitologici; anch’io (mi si accordi di mettermi anch’io tra il bel numero) assai volentieri fo senza quelle rancide immaginazioni. Che gli enti mitologici non abbiano più relazione con noi è cosa indubitabile, e fin qui, come dissi, anch’io me ne sto di tutto buon animo dalla parte de’ novatori. Si può per altro dire egualmente che que’ personaggi con quegli avvenimenti, onde furono tratte le mitiche narrazioni, non fossero mai? Ecco in che io mi opporrò, forse, a qualcuno de’ miei rispettabili confratelli.
Non è già tra le recondite tradizioni di popoli scomparsi dal mondo che io voglia cercare le prove a difesa della mia opinione; conosco ciò che si debba alla pazienza de’ miei lettori, e quindi mi asterrò a tutto potere dal tormentare loro gli occhi e la mente con una selva selvaggia di citazioni, necessarie ad ogni quistione trattata per via dell’autorità. Dirò invece a chi non fosse del mio parere: girate di grazia, o signori, gli occhi all’intorno; non vedete ad ogni passo alcun che di simile a quanto vi si racconta dell’antica mitologia? Ogni cosa a questo mondo ha le sue regolari vicende, e per la stessa ragione che si studia il passato a giudicar del presente, dovrebbesi esaminare con diligenza il presente per trarne argomenti a conoscere con esattezza il passato.
Ecco qui: dubitate che vi possano essere stati uomini e donne cangiati in alberi, in bestie, in sassi, in fontane? Vedete all’incontro per ogni parte uomini e donne che tanto hanno dell’albero, della bestia, della pietra, del fonte, e via discorrendo, da rendere molto presumibili quelle trasformazioni. Gli antichi passeggiando un giardino, camminando lungo un torrente, alzando gli occhi al cielo quando i condensati vapori si atteggiano a tante diverse mostruosità, entrarono in sospetto che nel gracile stelo del fiore potesse nascondersi un giovinetto infelice, che tra i vortici dell’acque si aggirasse lo spirito di una fanciulla pudica, e che le nubi assumessero quelle varie sembianze per essere ricetto di chi non aveva saputo tenere a freno i temerarii suoi desiderii. Noi per l’opposto, veggendo certe inclinazioni e certi atti non punto umani, possiamo alla nostra volta conchiudere, o sospettare per lo meno, che, terminato il tempo della loro pena, tutti gli sciagurati di cui parla la mitologia tornassero a rivestire le antiche forme, non siffattamente per altro, che alcun poco non lascino trasparire della spoglia vegetabile, animalesca, o altra tale, in cui rimasero involti per molti secoli.
Cominciando da ciò che si mostra subitamente alla vista: certe facce, e certe figure irte, stecchite, non posso a meno di pensare che fossero canne, o virgulti; all’incontro certe altre enormemente rigonfie mi toccano la fantasia coll’immagine dei cocomeri e delle zucche. Un tale che saltella incomposto, direi che avesse da soli pochi giorni svestita la pelle del daino: tal altro, che grosso il collo non può dar passo senza che il ventre gli balli, è un bove rifatto uomo da poco tempo. Certo signore che piantasi immobile dov’è maggior pressa di gente, è ancora un poco macigno; e l’altro che lievemente s’insinua da per tutto, fermandosi tratto tratto, ma sempre di volo, a susurrare qualche parola negli orecchi di questo o di quello, è schietto schietto un rigagnolo, abituato da tempo immemorabile a serpeggiare mormorando fra i ciottoli del suo letto.
Ma queste sono osservazioni superficiali; le corrispondenze si fanno assai più importanti e degne di essere considerate quando dal materiale si passa allo spirito delle persone. Tiburzio è l’arpia che, non paga di divorare i cibi, insozza la mensa. Dopo aver mangiato a crepapelle, aiuta la digestione col fare la satira dei padroni di casa. Chi non vorrebbe prestar fede a Tiburzio? È testimonio di veduta e di udito di quanto racconta. Melissa all’incontro è Psiche. Vuol fare esperienza degli uomini, scottandoli. Ha letto nei romanzi del medio evo raccontare della prova del fuoco; ecco il mio fatto, pensò Melissa. Dopo ciò, averla campata da morte, e prodigatole il più di amore e di sagrifizii, che mai possa uomo alcuno, è una bazzecola, un nulla. Le occorre pur sempre il testimonio della lucerna. Chi si accosta ad essa si apparecchi a rimanere o tosto o tardi scottato. E Dorotea? È Siringa. Resistente a tutti gli allettamenti, è dominata dalla smania di andarne per le bocche degli uomini. Finchè la volete donna vi scapperà sempre davanti come damma selvatica; fatene invece strumento da fiato, e la troverete, vi prometto, arrendevole. Potrete allora farla cantare secondo vi parrà meglio. Ricordatevi però che sarà sempre per natura propria ineguale; altrimenti il suono delle sue canne sarebbe monotono, e non darebbe gusto al bel mondo. Domitilla all’incontro è Aretusa. La cerchi ove dovrebbe esserci? Si nasconde niente meno che in grembo al mare. Passeggi a caso per le solitudini della Sicilia senza badare a nulla, non per altro che a prendere il fresco? Eccola apparirti dolcissima ed armoniosa. Chi non conosce Proteo in Valerio? È il profeta che canta tutti gli onomastici e tutte le nozze. Sa tutte le genealogie più recondite, e tutte le discendenze avvenire. Per questo si dice che pascola il gregge delle foche e dell’orche marine, ossia de’ più smisurati fra i pesci. Con quelli di breve schiena non se ne impaccia, non li conosce nemmeno per nome. E quando ne vede taluno ingoiare da que’ gran mostri della sua greggia, mette fuori il muso e dice: buon pro. E tuttavia Proteo è ascritto al concilio de’ numi: vedete quanto sia cara la lode e la sincerità!
Con questa regola potrete continuare sopra molte e molte altre indoli, buone e malvage. Perchè ce ne sono anche delle buone. Le buone per altro non vi darebbero nessun gusto se ve le descrivessi; oltrechè è assai probabile che mentre vi parlo ritornino all’antica loro condizione di piante, di fiori, d’augelli, noiate e atterrite della poco buona compagnia in cui si trovano in mezzo gli uomini. Conchiuderemo osservando, che quanto s’è fatto bene a bandire la mitologia dalle poesie moderne, tanto sarà ben fatto di fermarsi a quando a quando a indagare le recondite allusioni e i significati di quelle mirabili allegorie. Oh le nuove conclusioni che se ne trarranno! Dicesi a cagion di esempio che le pietre si movessero a correre dietro il suono di una lira dolcemente toccata, e questo fatto si ha per emblema del potere che anche sopra gli animi più freddi e restii esercita la poesia. Ma potrebbe inoltre significare che chi si pone a coltivare quest’arte deve attendersi di essere anche, secondo i casi, lapidato. A Mida, giudice iniquo e balordo, crebbero le orecchie, ma vedete che ne ottenne anche abilità di mutar in oro tuttociò che gli passava per mano; e a chi voleva dir male di lui conveniva nascondersi sotto terra, e far sì che parlassero in sua vece le canne. A tutto questo ponendo mente, mi parve che si potesse comporre un libretto col titolo Mitologia del secolo XIX, e che ciò che rifiutavasi dalla poesia sarebbe accolto dalla prosa, e fatto soggetto di qualche non disutile osservazione.